mercoledì 26 ottobre 2011

Lezione sull'ombra - di John Donne


Fermati! Ti terrò, amore, una lezione
di filosofia d'amore.
Passeggiavamo, in queste tre ore, e
con noi venivano due ombre
che noi stessi avevamo generato.
Ma ora il sole è a picco sul nostro capo
e calpestiamo quelle ombre,
ogni cosa è trasformata
in coraggiosa luminosità.
Mentre cresceva il nostro amore bambino,
finzioni e ombre fluivano da noi,
dai nostri affanni; ma adesso non è più così.

Non arriva al punto più alto
un amore che teme d'esser visto.

Se non lo fermiamo a questo mezzogiorno,
ombre creeremo nell'altro verso,
e mentre le prime dovevan rendere ciechi gli altri,
queste che si formeranno, agiranno su di noi,
accecando i nostri occhi.
Se il nostro amore impallidisce, se declina al tramonto,
tu a me le tue azioni, mentendo, nasconderai,
io a te, le mie nasconderò.
Le ombre del mattino rimpiccioliscono,
ma queste crescono per tutto il giorno.
Oh, quant'è breve il giorno dell'amore, se l'amore tramonta.

Amore è luce crescente, o piena e costante,
e il suo primo minuto dopo mezzogiorno è notte.


Le fotografie sono tratte dall'album Paris, rue de Tournage di Cris Thellung

venerdì 7 ottobre 2011

Maestri dello spazio - di Lunettes Rouges


Certo, il Beato Angelico è un soave pittore di dolci Madonne e di Cristi dolenti, ma questa mostra al Musée Jacquemart André (le cui sale sono state un po’ ampliate: vi saranno meno code? fino al 16 gennaio) è stata per me soprattutto l'occasione per comprendere meglio il suo senso del luogo, della costruzione dello spazio. 
Ma innanzi tutto, la prima sala offre l’opportunità di incollare il naso alla Tebaide proveniente dagli Uffizi (dove mi sembra non ci si possa avvicinare così tanto alla tavola). 
Questo pannello di due metri di larghezza, il suo primo o secondo dipinto (nel 1420, aveva 20 anni), è fatto per essere guardato da vicino, perchè questo quadro sulla vita dei monaci nel deserto offre una serie di scenette didattiche, edificanti o divertenti (vi consiglio caldamente l'acquisto della collezione di quindici cartoline che riproducono questi dettagli). La vista d’insieme ci sorprende perchè tutto appare appiattito, le barche e le case in primo piano sono di proporzioni minuscole (si veda la barca dove diavoli neri portano via un dannato), mentre i monaci si muovono in un paesaggio roccioso ombreggiato e plastico, ma senza prospettiva (ritornerò più avanti sulla prospettiva). Lo sguardo non sa dove posarsi, se non forse sul funerale in basso, sul catafalco rosso e sul personaggio con la testa da rabbino che vi assiste. Dal catafalco, gli occhi corrono a due donne in abito rosso, le sole donne del dipinto: stanno tormentando un monaco? Sarà senza dubbio la mia immaginazione, ma mi è sembrato di vedere un serpente strisciare dietro una delle due e un maialino nelle mani dell’altra.

Nessun’altra femmina, come sul Monte Athos, al punto che questo monaco munge ... un cervo, non una cerva. I monaci vivono in comunità, non sono eremiti, neppure nel modo idioritmico caro a Roland Barthes. Se alcuni sono reclusi in grotte o nutriti grazie a ceste sollevate da corde, altri lavorano insieme, coltivano, ballano con un orso, minacciano una volpe, cavalcano animali selvaggi (cervi, pantere) o, i più anziani, si fanno trasportare su un carro trainato da due leoni. Vi è un centinaio di altri aneddoti, vediamo ad esempio un monaco in preghiera vestito della sua sola diafana capigliatura, come una Maddalena penitente. La Tebaide di Budapest, vista lì accanto, sembra una pallida copia.

martedì 4 ottobre 2011

Ottobre – di Fabio Tombari

Il pittore specializzato in paesaggi si vede costretto in questo mese a cambiare per intero la sua tavolozza. Simile al musicista che al tramonto dell’eroe, per meglio aderire alla maturità del dramma deve trasportare il motivo del violino in chiave di basso per il violoncello, il pittore cangia il turchino col grigio, il verde col terra di Siena, il giallo oro col sangue di bue.
Il fatto è che la natura stessa, ricorrendo il colmo della venagione, si trasforma in preda. Come del resto le donne.
Non più l’ocra l’indaco il carminio dei pappagalli, ma il color talpa, il fulvo, il rossigno delle pernici, dei tassi e dei cervi, anche nella moda muliebre. Per un processo di mimetismo più in grande, l’Europa tutt’intera assume i colori della sua selvaggina.

È il tempo delle sorbe; e il rigogolo che per i fichi si era vestito d’oro, torna a mutarsi di verde.
Sono le mattine care ai primi pittori olandesi, i pomeriggi dei paesaggisti francesi dell’ottocento; quando il vero poeta esce a caccia senza fucile, così per ammazzare il tempo.
Non ha più idee. Ma il cane lo raggiunge, lo sorpassa, ritorna; cerca, punta, si agita. Poi in gran furia comincia a scavare, disseppellire qualcosa.
Sorpreso, perplesso, il poeta lo segue. Una tana, un tesoro?
No: un piccolo grumo indurito, quasi un cervello coi lobi e le vene.
Lo coglie, lo soppesa, lo fiuta: bulbo? no; radice? frutto? nemmeno; né durone, né ceppo, né sasso.
È come un groppo, un ganglio, e odora di viole di aglio.
Puzza, profuma? Ecco il problema. Sia quel che sia! L’idea che mancava è trovata: e a grandi passi concitati corre in casa trionfante d’aver scovato un tartufo.

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