martedì 3 dicembre 2013

Dicembre - di Fabio Tombari


Per un solo fiore che insista sul muro d’un giardino, il freddo indugia sui monti, la bora s’attarda nelle grotte dell’Istria.
Troppe rose sparse qua e là sui vecchi muri di cinta, troppi gerani ancora sul Canal Grande. lungo la riviera, molti tavolinetti fuori dei caffè, tutti i Luna-Park in piedi fanno ancora sfoggio di luce, pochi colpi di tosse in chiesa alla Messa cantata. Roma ha tutti i suoi tramonti d’oro.

Chopin domina sempre dalle cinque alle sette di sera e dopo cena Puccini e Massenet.
L’arte è ancora quella di mezza stagione: elegante, un po’ leggera, ma non troppo. È presto ancora per il rovaio di Wagner e di Beethoven, per i temporalacci del Rigoletto o del Barbiere, per il vino brulé di Rabelais e d’Omero, per il fuoco di Dante. I geni richiedono la stagione rigida, un cielo più cupo, il foco di legna più grosso; come tutti quei problemi proposti dal freddo intenso, dalle notti tempestose, dalle piogge dirotte, come l’alchimia, le castagne arrosto, gli enigmi.
Vanno ascoltati, letti e meditati di sera, nelle lunghe veglie grige e pesanti, quando le città odorano di oceani sporchi di fango.
E le grandi epopee? Allorché il dottor Lönroth chiamò a sé i più vecchi contadini, quelli non ricordavano. Stavano lì a cavalcioni delle scranne e non riuscivano né a sovvenire né a mentovare.
Ma ecco che battendo i piedi dal freddo, presero a dondolar sugli zoccoli, e con la cadenza, col ritmo a una a una su per le membra fino al cuore e alla mente, il rimembrare, il ricordare e rammentare via via di tutte le lasse.
Così la saga, l’epopea dei Finni, il Kalevala venne rievocato e trascritto per il futuro.
Con le sue reminiscenze più o meno antiche ed eroiche, con l’ultime battute di caccia e le prime bufere, l’inverno ci vuol favolosi.
Il tartufaro che nelle prime ore del mattino s’inurba col sacco in spalla cantando sotto le finestre ancora chiuse la bianchezza della trifola, si vede seguire - potenza della bella voce - da una falange di cani randagi accorsi a lui da tutte le strade.
Tremanti pel gelo notturno, l’ascoltano estasiati col naso in aria.
Il tempo delle fiabe investe ogni cosa.
Le verze che in crocchio, brinate, indugiano ancora nell'orto coi cappucci e coi broccoli, aspirano a entrare in cucina a maritarsi coi selvatici.
Lepri, pivieri e cignali non attendon che loro. E starne e beccacce e pernici. Fagiani in addobbo d’aceto intercalati con qualche rombo e anguilla marinata; olive grosse di Ascoli, zuppe di polenta e di pesce: fegatelli di maiale glorificati col lauro. Tutte le morti più sapide e mature dell’autunno morente.
Il buon Sole d’un tempo, che non ha più forza di riscaldare i muri, né di segnalare le fatiche umane col sudore della fronte, dà ancora qualche effimero guizzo qua e là e sembra spegnersi inutile avanti il tramonto con qualche anticipo sul proprio destino, come un suicida.
Tutti i maiali vigliaccamente scannati, il pesce rapito forivia con le ovaie ancora gonfie, un po’ di neve, poca, come quel po’ di farina che Re Marco sparse fra il letto di Tristano e d’Isotta, per ottener la prova dell’adulterio, e su cui l’umanità lascia la stessa orma d’una selvaggina votata alla morte.
Di sera, sotto il Capricorno, è ancora il cacciatore che torna fra le nebbie come in un’acquaforte, curvo col peso delle piccole vittime.
Poi l’ultima rosa cadrà, e sarà l’inverno.

Un nuovo blog: appeseaunfilo

Un blog nato per rendere note le attività e la produzione dell'Associazione Appeseaunfilo che per festeggiare la propria nascita così prossima al Natale pubblica proprio un libretto di Buon Natale con testi di Selma Lagerlof, Rainer Maria Rilke, Thomas Stearns Eliot...
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