martedì 5 novembre 2019

Novembre - di Fabio Tombari

  Novembre, quando l’autunno funziona da inverno, e nelle sere di nebbia gli uomini sembrano fatti della materia dei sogni: tanto i vivi che i morti, i cosiddetti morti.
Gli antichi l’avevano dedicato a Diana, gli astrologhi alla Luna.
Trae il suo nome dal calendario di Romolo che lo faceva a contare da Marzo, il nono mese, e dai nove cieli da cui sembra piovuto, annegato, infradiciato. Cesare lo arricchì di un giorno che Augusto ritolse; Dante lo cita in Purgatorio.
Grandi uccelli di mare dormono alti col becco al vento, mentre Pomposa batte l’Ave; e i bambini che per la strada di Aquileia, lungo le valli tornano da scuola, tremano di paura, tanto hanno grandi gli occhi.

I fiumi gonfiano, e a stare alla tina sul Po c’è pericolo, se si disancora la botte, di finir per l’Amarissimo soli col cane.
Il colore più diffuso è il grigio, il segno è l’Arciere. – La statua di questo mese, dice il Tanara, sarà vestita di fronde secche coronata di rami: in una mano un canestro di rape e d’ogni radice commestibile, al piede il Sagittario sopra una testa di porco selvatico in malvagia e un’oca grassa con scorze di melangole fra fagiani e lucci carpionati.

In città, dove le luci si riflettono sull’asfalto e passano donne dentro gli orsi delle pellicce, predominano le tinte brune e malva, come tinte di gran moda. È il mese in cui si riattivano i salotti, le relazioni d’affari, la stagione lirica; in cui l’ammiratore della ballerina, che altra volta attendeva in anticamera con l’omaggio delle orchidee, è introdotto in sala da pranzo con un mazzo di starne e di funghi.

Ma il Novembre esige solitudine. Chi non può star solo si smarrisce. Occorre cercarsi, ritrovarsi in tutte le cose.
Conveniente calafatare la barca, ristoppare gli infissi, spaccar la legna, raccoglier ghiande, riadattare i cappotti, rincalzare i carciofi, mandare i porci per le vigne.
Mese fosco, abbondante di selvatici di vongole di colombacci di fumi d’arrosto, di fiere fisse e mobili; carico di verze di pere bergamotte, di mele appie e cotogne, grave di infreddagioni, è il tempo dei sogni: quando anche il mare, assopito dopo la bora, dorme e russa tranquillo, cullando i suoi mostri.
Tutto è nebbia all’intorno: il giorno che si fa strada a stento in un labirinto, intravede le nubi ammassarsi, né sai dove l’orizzonte finisca e il cielo cominci.
Che v’è di là, oltre il confuso dei sogni? Larve, illusioni, ombre vane. E poi?
Il mondo dei sogni è tale perché inconsistente o perché opaco? Cos’è che ci vela? L’Helgoland, la terra dei santi?

Ventoso, piovoso, stravolto da bore e tramontane, sorvolato da falchi e gabbiani, da corvi e da ombrelli; è il mese in cui si mette mano al vino nuovo, si riaccende il caminetto e tornano in uso il biliardo la pipa il tresette. E pei piccini il giuoco dell’oca.
Se hai un mare a portata di mano, tenderai dei gabbioni a rete lungo i banchi di sabbia, dove l’acqua è meno profonda. Li ritrarrai di sera carichi di anguille.
Uccidere le anguille, dicono i saggi, non è peccato, poiché è tale pesce questo che se non l’uccidi presto, muore di consunzione.
Hanno un kraal nascosto le anguille, come gli elefanti e gli zingari e vanno a morire distante.

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