sabato 24 aprile 2021

Richiesta personale - di Robert Hamerling

 
Dillo, io scrivo cattivi versi
Dillo, io rubo cucchiai d’argento
Dillo, non sono un buon tedesco
perché per necessità dietetica
non ho mangiato carne giudaica
e quella slava neppure.
Oppure che ho tradito l’Austria,
perché ho cantato Bismarck.
Dillo che mi ha consumato il rancore,
perché mi si loda troppo raramente
e talvolta mi si calunnia vilmente.
Ma non uno, vi prego, non uno
dica: che sono pessimista,
che nel mio canto l’ultima
parola l’abbia la moderna-snob,
la sciocca, ottusa noia di vivere.
È pessimista dunque il poeta
perché si strugge in lamenti?
Proprio perché così bello gli appare il mondo
e tanto incantevole la vita,
si dispiacerà amaramente
se gli viene negata la sua parte.
Se chi si lamenta, fosse già pessimista,
allora è pessimista ciascuno
al quale sfugga un ‘Ohimè!’
quando gli cavano un dente!
Creda quel che vuole il recensore
ma non ch’io sia pessimista!
Questa parola la odio – ne sento il fetore
fino all’ultima sillaba.


Persönliche Bitte

Sagt, ich mache schlechte Verse –
Sagt, ich stehle Silberlöffel –
Sagt, ich sei kein guter Deutscher,
Weil aus notgedrungner Rücksicht
Der Diät kein Judenfleisch ich
Und kein Slawenfleisch genieße –
Oder ich verrate Ostreich,
Weil den Bismarck ich besinge –
Sagt, daß mich der Gram verzehre,
Weil man mich zu selten lobt,
Und zuweilen schnöd verlästert –
Aber Eines, bitt* ich, Eines
Saget nicht: daß Pessimist ich –
Daß in meinem Sang das letzte
Wort hat die blasiert-moderne,
Blöde, stumpfe Daseinsunlust!
Pessimist war' drum der Dichter,
Weil er sich ergeht in Klagen?
Just weil ihm so schön die Welt
Und so reizend scheint das Leben,
Wird er schmerzlich es bedauern,
Wenn versagt ihm blieb sein Anteil.
Soll, wer klagt, schon Pessimist sein,
Dann ist Pessimist auch jener,
Welchem ein O weh entfuhr,
Als ein Zahn ihm ward gerissen!
Glaubt den Rezensenten alles,
Nur nicht, daß ich Pessimist!
Dieses Wort haß ich - mir duftet's 
Wie nach seiner letzten Silbe.

venerdì 9 aprile 2021

Aprile - di Fabio Tombari

L’uccelletto che al mattino fra l’erba ancor umida scorge la luce in ogni gocciola d’acqua, freme indeciso. Rantoli, strida; i gufi sui galli, i galli sui gufi. Un frullo, uno scatto e trillando si libra a congiungersi allo zenit col proprio anelito.
Quell’ingenua freschezza, quel volare coi palpiti. Tutta la sapienza degli allocchi sui più antichi campanili, non vale lo slancio di una lodola.
Chi strilla chi abbaia: un’aria soave, una partitura da cani. Solisti e comprimari, il gallo del pollaio, i rospi del fosso; un gorgheggio un solfeggio. Ma non c’è modo di metterli d’accordo: zigoli, cince; chi arriva chi parte; un salterio un fugato: i passeri sempre pronti a concedere il bis, il merlo a infischiarsene.
Invano il forapaglia fa capolino sul fiume: un’acquerugiola, una spruzzatina sui fiori. Il brillar delle gemme, il valzer dei refoli. La primavera fa arrossire anche i fanelli. E cantano i regoli.
Sono tornati tutti: pispole, fringuelli, cutrettole: quando le madri volano con fiocchi e pagliuzze nel becco, e le povere pecore, senza saperlo lascian lungo le siepi i bioccoli per le cove. Il codirosso fa le uova verdi come lo schiaccino, il pettirosso come lo scricciolo.
È arrivato l’ambasciatore sui campi e sulle valli... gli vanno incontro covate di pulcini, di ochette e maialini e piccioncini e conigli: l’Aprile è tutto bianco di uova, d’agnelli, albicocchi e ciliegi in fiore. Simile a quel bambino convalescente dai grandi occhi sognanti, che sta alla finestra e ha fame di giuncate e tuorli freschi, e sogna sentieri distanti e vorrebbe correre col vento, l’Aprile è così fresco di acque correnti e palme di ulivo. E la festa che viene tintinna di lontano come un carretto di primizie.

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