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sabato 1 maggio 2021

Dioniso, dio del caos creativo


Appena nato, Dioniso fu catturato dai Titani, fatto a pezzi, bollito in un calderone, mentre dal terreno inzuppato del suo sangue nasceva un albero di melograno.
Non un granché come inizio.
Ma Rea accorse in suo aiuto e gli ridonò la vita. Per proteggerlo dalla gelosia di Era, lo affidò prima al re Atamante, poi alle ninfe Iadi che lo allevarono, nutrendolo di miele, nascosto in una grotta sul monte Nisa.
Fu proprio sul monte Nisa che Dioniso inventò il vino, invenzione che gli diede immensa fama.
Prima di essere accolto nell'Olimpo fra gli altri dei, vagò per il mondo lasciando dietro di una scia di gioia e di terrore. Ovunque arrivasse, qualcuno impazziva, faceva a pezzi un congiunto, si abbandonava a pratiche di cannibalismo.
Ma Dioniso era anche dispensatore di gioie ebbre e sfrenate, capace di trasformare di continuo e la realtà intorno a . Lo sperimentarono gli sfortunati pirati che lo rapirono per venderlo come schiavo. Una pessima idea: una vite crebbe attorno all'albero maestro, l'edera avvolse vele e sartiame, i remi si trasformarono in serpenti, Dioniso si tramutò in un enorme leone e tutta la nave si popolò di animali feroci. In preda al terrore, i pirati preferirono gettarsi in mare.
Eppure questo dio così temibile, inquieto e inquietante, si cela, cresce in ciascuno di noi. Ne vediamo i continui mutamenti nelle immagini oniriche, nelle pulsioni più profonde, nei ricordi dimenticati che affiorano improvvisi, nelle emozioni, nelle paure, nei sapori, nei profumi che ci conducono lontano nello spazio e nel tempo...
Non ci rimane che farlo a pezzi, cuocerlo a fuoco lento e poi ridargli vita sulla pagina, per vedere in che cosa si sia trasformato questa volta.

mercoledì 11 aprile 2012

La via dell’oro

Mancavano pochi giorni alla Festa dell’Ascensione. Nell’aria tiepida, i cinguettii degli uccelli intenti a costruire i loro nidi si intrecciavano in un’unica melodia con il canto dei grilli. Teodoro, diretto a Macugnaga, camminava già da alcune ore. Nel primo tratto il sentiero, ben tracciato e costeggiato da una palizzata di legno, attraversava prati e pascoli che si stendevano a perdita d’occhio, poi, inoltrandosi nel bosco, si confondeva fra le pietre ricoperte di muschio. Per Teodoro non era facile seguire le indicazioni che aveva ricevuto: spesso si fermava, indeciso sulla direzione da prendere, talvolta era costretto a tornare sui suoi passi, osservando sempre la posizione del sole per orientarsi meglio.
Giunto a una radura, si sedette ai piedi di un grosso olmo: il fogliame non era ancora fitto, ma creava un’ombra confortevole e il terreno era morbido e asciutto. Trasse dal tascapane le sue provviste: una pagnotta, un bel pezzo di formaggio, una fiaschetta di vino di more. Dopo aver mangiato, si appoggiò al tronco dell’albero, lasciando vagare lo sguardo al gioco di luci e di ombre che il sole creava con le foglie mosse dal vento e facendosi trasportare dalla memoria ad altre giornate di primavera, quando non era tanto solo e il futuro gli appariva colmo di promesse… quanto tempo sembrava passato, quante cose erano successe!
Ma nulla era perduto, tutto poteva ricominciare, così come la natura trova nuova vita dopo l’inverno. A poco a poco dal sogno ad occhi aperti scivolò nel sonno, cullato dal fruscio del vento. Nel sonno gli parve di udire le sue capre, il suono dei loro campanelli, poi il rumore si fece più forte, metallico… soldati? cercavano forse lui? Si svegliò, allarmato, raccolse in fretta il tascapane e si nascose dietro l’olmo.
Dal folto del bosco sbucò una figura mostruosa. Il sole alle sue spalle ne delineava la forma: era un essere di statura quasi gigantesca, ma del tutto deforme. Le spalle strette e le braccia lunghe mal si raccordavano alla parte inferiore del corpo che appariva gonfia come un otre pieno e terminava con due zampe enormi ricoperte di peli. La testa era ancor più spaventosa: piatta e larga a dismisura era sormontata da un paio di corna!
“Il diavolo del meriggio!” inorridì Teodoro, facendosi il segno della croce.

giovedì 7 giugno 2007

Baudelaire ai giovani scrittori - 2


Coloro che dicono “sono sfortunato!” sono quelli che non hanno ancora avuto un sufficiente numero di successi e che lo ignorano.
Mi riferisco alle mille circostanze che avvolgono la volontà e che hanno delle cause legittime: sono il cerchio entro cui è racchiusa la volontà stessa. Ma è un cerchio in movimento, vivente, turbinoso, che muta ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo la propria circonferenza e il proprio centro, trascinando con sé la volontà che racchiude e che muta a sua volta, in un gioco reciproco dove vive la libertà.
Libertà e fatalità sono due opposti; visti da vicino e da lontano sono una sola volontà. La sfortuna non esiste. Se siete sfortunati è perché vi manca qualcosa: quel qualcosa conoscetelo e studiate il gioco delle volontà vicine per spostare più facilmente il cerchio.
Un esempio tra mille. Molti fra coloro che amo e che stimo si indignano quali retori infuriati di fronte a certe celebrità di oggi – Eugène Sue, Paul Féval; ma il talento di quei personaggi, per frivolo che sia, non di meno esiste, mentre la collera dei miei amici non esiste, o meglio esiste in negativo, perché è tempo perso, vale a dire la cosa meno preziosa al mondo. La questione non è sapere se la letteratura del cuore o dello stile sia superiore a quella di moda. Può essere vero, e lo è, almeno secondo me. Ma sarebbe corretto solo a metà, se nel genere in cui vi cimenterete non avrete altrettanto talento di Eugène Sue nel suo.
Accendete un uguale interesse con mezzi nuovi, date prova di una forza uguale o superiore, ma in senso contrario: raddoppiatela, triplicatela, quadruplicatela e non avrete più diritto di disprezzare il borghese, perché il borghese sarà dalla vostra parte.
Fino a quel momento, vae victis, perché nulla è altrettanto vero della forza che è giustizia superiore.

Charles Baudelaire - Conseils aux jeunes littérateurs

mercoledì 16 maggio 2007

Baudelaire ai giovani scrittori - 1

I precetti che seguono sono il frutto dell'esperienza; l'esperienza implica una certa somma di errori: poiché tutti ne commettono (pochi o tanti non importa) spero che la mia esperienza sia verificata attraverso quella di ciascuno.
Questi precetti, quindi, non hanno altra pretesa che quella di un vademecum, altra utilità che quella di un manuale elementare e onesto. Pensate a un galateo scritto da una Madame de Warens buona e intelligente, a norme del vestire elegante insegnate da una madre! - Allo stesso modo metterò in questi precetti una tenerezza fraterna.
Delle fortune e delle sfortuneI giovani scrittori che parlano con una sfumatura d'invidia di un loro collega, dicendo: "E' stato un bel debutto il suo: ha avuto una fortuna sfacciata", non pensano che ogni inizio è sempre preceduto ed è l'effetto di altri venti debutti rimasti sconosciuti.
Non so se, in fatto di celebrità, esista il colpo di fulmine, credo piuttosto che un successo sia, in una proporzione aritmetica o geometrica - a seconda del valore dello scrittore - il risultato dei successi precedenti, speso invisibili a occhio nudo. Avvengono lente aggregazioni di successi molecolari, ma generazioni spontanee e miracolose, mai.
Charles Baudelaire - Conseils aux jeunes littérateurs
(1-continua)

martedì 8 maggio 2007

La fabbrica del testo

“Le parole sono crocevia dove molte strade si intersecano. E se, invece di attraversare velocemente questi incroci, avendo già deciso quale cammino seguire, ci si ferma ad osservare ciò che ci appare nelle prospettive che si aprono, ci si rivelano insospettate congiunzioni di risonanze e di echi.”
Claude Simon

Tra le prime idee abbozzate su un foglio e le ultime correzioni scorre il tempo della creazione, sempre diverso a seconda del momento e di chi scrive. In alcuni casi ci si lascia guidare dall’ispirazione, in altri si accumulano piani di lavoro e documentazioni.

Analizzando i manoscritti degli autori, appaiono evidenti due tipologie di scrittura: l’improvvisazione e la costruzione. Sono modi di lavorare radicalmente diversi che hanno conseguenze decisive sulla forma e la natura della scrivere.
(liberamente tradotto da Brouillons d’ecrivains)

giovedì 5 aprile 2007

A proposito di invenzione letteraria

"Io mi affannai a pensare una storia… Pensai, meditai: invano. Provai quella vuota impotenza creativa che è la maggior disgrazia per chi scrive, quando alle nostre angosciate invocazioni risponde, muto, il Nulla. “Hai pensato una storia?” mi si chiedeva ogni mattina; e ogni mattina la mia mortificante risposta era negativa.
Tutte le cose devono avere un inizio, per dirla con Sancho Panza, e tale inizio deve essere collegato a qualcosa avvenuto in precedenza. Gli indù fanno sorreggere il mondo da un elefante, ma fanno a sua volta sorreggere l’elefante da una tartaruga.
La facoltà inventiva, occorre umilmente ammetterlo, non consiste nel creare dal nulla, ma dal caos; innanzitutto si devono produrre i materiali: si può dar corpo a sostanze informi e oscure, ma non si può creare la sostanza stessa.
Per rimanere alle scoperte e alle invenzioni, anche quelle appartenenti alla pura immaginazione, sempre vien fatto di pensare alla storia dell’uovo di Colombo. L’invenzione, infatti, consiste nella capacità di cogliere le potenzialità di un soggetto e nella facoltà di forgiare e plasmare le idee che ci vengono suggerite.”

Mary Wollestonecraft Shelley
La genesi di “Frankenstein"

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