mercoledì 11 aprile 2012

La via dell’oro

Mancavano pochi giorni alla Festa dell’Ascensione. Nell’aria tiepida, i cinguettii degli uccelli intenti a costruire i loro nidi si intrecciavano in un’unica melodia con il canto dei grilli. Teodoro, diretto a Macugnaga, camminava già da alcune ore. Nel primo tratto il sentiero, ben tracciato e costeggiato da una palizzata di legno, attraversava prati e pascoli che si stendevano a perdita d’occhio, poi, inoltrandosi nel bosco, si confondeva fra le pietre ricoperte di muschio. Per Teodoro non era facile seguire le indicazioni che aveva ricevuto: spesso si fermava, indeciso sulla direzione da prendere, talvolta era costretto a tornare sui suoi passi, osservando sempre la posizione del sole per orientarsi meglio.
Giunto a una radura, si sedette ai piedi di un grosso olmo: il fogliame non era ancora fitto, ma creava un’ombra confortevole e il terreno era morbido e asciutto. Trasse dal tascapane le sue provviste: una pagnotta, un bel pezzo di formaggio, una fiaschetta di vino di more. Dopo aver mangiato, si appoggiò al tronco dell’albero, lasciando vagare lo sguardo al gioco di luci e di ombre che il sole creava con le foglie mosse dal vento e facendosi trasportare dalla memoria ad altre giornate di primavera, quando non era tanto solo e il futuro gli appariva colmo di promesse… quanto tempo sembrava passato, quante cose erano successe!
Ma nulla era perduto, tutto poteva ricominciare, così come la natura trova nuova vita dopo l’inverno. A poco a poco dal sogno ad occhi aperti scivolò nel sonno, cullato dal fruscio del vento. Nel sonno gli parve di udire le sue capre, il suono dei loro campanelli, poi il rumore si fece più forte, metallico… soldati? cercavano forse lui? Si svegliò, allarmato, raccolse in fretta il tascapane e si nascose dietro l’olmo.
Dal folto del bosco sbucò una figura mostruosa. Il sole alle sue spalle ne delineava la forma: era un essere di statura quasi gigantesca, ma del tutto deforme. Le spalle strette e le braccia lunghe mal si raccordavano alla parte inferiore del corpo che appariva gonfia come un otre pieno e terminava con due zampe enormi ricoperte di peli. La testa era ancor più spaventosa: piatta e larga a dismisura era sormontata da un paio di corna!
“Il diavolo del meriggio!” inorridì Teodoro, facendosi il segno della croce.
L’essere veniva proprio verso di lui: si muoveva a scatti, saltellando fra i rovi e, avvicinandosi, acquistava sembianze umane.
Ben strana foggia d’uomo! Alto, allampanato, portava in testa un cappellaccio da cui spuntavano ciuffi di capelli rossi, così come rossa era la corta barbetta a punta (a causa della quale Teodoro si chiese se non si trattasse davvero di un demonio). Indossava braghe marroni infilate dentro alti stivali di pelliccia; ai lati grandi tasche sembravano contenere per intera una bottega di fabbro ferraio: ne spuntavano martelli e lime e scalpelli… Altri attrezzi erano legati con un intricato sistema di cinghie e ad ogni passo cozzavano fra loro con gran fracasso; fra questi anche una bacchetta da rabdomante che, fissata sulla schiena, sopravanzava la testa, somigliando a un demoniaco paio di corna.
Benché non fosse del tutto rassicurato da ciò che vedeva, Teodoro si arrischiò a uscire dal suo nascondiglio proprio quando, con un ultimo balzo, lo sconosciuto lo raggiunse.
“Chi siete?” domandò Teodoro, ostentando una baldanza che era ben lontano dal provare.
Patientiam! Quia festinantia a diabolo est!” rispose l’uomo, liberandosi pezzo per pezzo del proprio bagaglio. Quando si fu alleggerito, proseguì: “Cum Deo pacem abendo, Aloisius argentarius sum.”
“Perdonatemi, Signore, ma non capisco ciò che dite, non so di latino, sono un semplice pas… apprendista in cammino per Macugnaga, dove spero di entrare a bottega d’un bravo maestro.”
“Ciò che non sa, lo può imparare colui che vuole sforzarsi. Ogni mestiere richiede sforzo, coraggio e perseveranza. Quando queste tre virtù sono riunite non c’è più nulla di cui non si possa diventar maestri. Ora, sebbene diversa sia la causa efficiente, medesima è la meta del nostro itinerare, dacché a Macugnaga è richiesta l’arte mia di far sorgere il Sole dalla Terra, perciò ti propongo, mio buon giovane, d’unirci in questo tratto di strada.”
Teodoro era sempre più confuso: aveva compreso ben poco di ciò che l’uomo aveva detto, benché questi non avesse parlato latino, però era così felice di avere un compagno di viaggio che si offrì di portare una parte della pesante attrezzatura.
“Ti chiederai in che consista l’arte degli homines argentarii” riprese Aloisius quando si furono incamminati. “Noi cerchiamo una sostanza veritiera che, posta sul fuoco, lo mantenga e che sia penetrativa e che tinga il Mercurio e gli altri corpi e la cui nobiltà superi tutti i tesori del mondo. Infatti una sola nostra cosa ne fa esistere tre, tre due, due finalmente una.”
“Da una tre, da tre due… sembra un’impresa davvero difficile! Per questo vi servono tanti strumenti?”
“Gli strumenti sono necessari, figliolo, ma non molti perché l’Opera giunge a perfezione per mezzo di una cosa, di un solo vaso, di una sola via e di una sola operazione. È l’Argento vivo minerale, il Mercurio, il segreto che conduce alla perfezione della combustione e della fusione. I corpi sono tanto più perfetti, quanto più Mercurio contengono. Sappi dunque che l’oro e l’argento non sono estranei al Mercurio, al contrario! Sono affini alla sua natura più che tutti gli altri corpi. Perciò, ridotti alla loro originaria natura, sono detti sorelle o compagni del Mercurio, dato che scaturirà Latte di Vergine dalla loro composizione e fissazione.”
Camminando e discorrendo (Aloisius infervorandosi, Teodoro annuendo di tanto in tanto, ma senza capire quasi nulla), i due giunsero in un punto dove il sentiero compiva un’ampia svolta dietro la quale si apriva una vallata.
In fondo si scorgevano i tetti di pietra grigia che il tramonto colorava di rosso. Erano arrivati in vista di Macugnaga.

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