domenica 29 marzo 2020

L’uomo che indica se stesso (Lorenzo Lotto)



E’ un ritratto, ma non si conoscono né il nome né la condizione sociale di chi vi è raffigurato. Ha, comunque, un aspetto signorile. Nei suoi abiti non vi è nessuno sfarzo, nessun senso di superiorità. Soltanto un prezioso anello sul mignolo. Gli occhi guardano severi verso l’osservatore, il movimento delle sopracciglia denota sensibilità. Ci si meraviglia dell’immagine; qualche studioso lo qualifica come “L’uomo sofferente”. Di che cosa soffre e che cosa ha a che fare l’espressione del viso con il gesto che indica se stesso? Se fosse inteso solo come una indicazione per il medico, sarebbe bastato uno schizzo, non era necessario avvalersi della mano di uno dei più noti maestri del tempo.
Poiché il quadro non è parte di una azione, il gesto non dice: io sono il maresciallo che ha vinto questa battaglia; io sono il costruttore dell’edificio riprodotto o qualcosa di simile. Dice soltanto: questo sono io!
Che senso ha questo gesto in un ritratto in cui chiunque vede chi vi è raffigurato e l’osservatore non può venir distratto dalla presenza di altre persone nel quadro? Se il gesto nascesse da un esagerato senso di sé vi sarebbe un adeguato sfarzo nel vestito, un atteggiamento altero e un’espressione corrispondente nel viso.
Certo anche in questo tirarsi indietro vi è un senso di sé, nel medioevo non si sarebbe dipinto un quadro del genere. Doveva avanzare l’“epoca nuova”, l’epoca dell’anima cosciente. La mano chiara davanti al fondo scuro, rivolta indietro, verso l’uomo stesso, un senso dell’ego, un sentimento di se stessi, l’esperienza della consapevolezza della personalità in sé eretta: “Sono io”. Che io è?
Il centro essenziale, egocentrico, terreno, che si sente solitario nel proprio corpo, lo si impara a conoscere con forza in conformità ai tempi nella prima metà del XVI secolo, quando Lorenzo Lotto dipinse il quadro. Lo si impara a conoscere in sé e negli altri, nell’attivismo di una propria volontà irruenta che cerca l’affermazione di sé, il riconoscimento di se, tipici dell’uomo del Rinascimento. L’uomo del quadro sa che questa è la segnatura del tempo, ma è preoccupato, sembra volerci far notare qualcosa. Non dice: fuggi da tutto in un convento! Lui stesso non è un monaco. Ciò nonostante questo quadro ha un pensiero nascosto nello sfondo. Completa il gesto di riflessione, che si rivolge a se stesso. Lo si scorge nello sfondo sopra alla mano che indica se stesso. Vi si vede il resto di un muro sul quale è rappresentato un piccolo angelo che tiene una bilancia. Al primo sguardo non sembra nulla di speciale, ma poi ci si incuriosisce e infine, come un lampo: che grandiosa runa! Con quale semplicità viene qui espresso un segreto universale. Un paradosso, non in parole, ma in immagine: l’angelo tiene la bilancia nelle sue mani e con i piedi sta nelle due coppe. Pesa se stesso! Provvede all’equilibrio e all’armonia delle sue stesse forze.
Se si cerca di riprodurre interiormente questo gesto esteriormente impossibile si sente quali forze vengono richiamate. Come ci si appella all’io superiore che porta e regola se stesso. Dove se ne trova la sorgente di forze? L’angelo guarda raccolto verso l’alto. Le sue mani non sono più congiunte in una preghiera di supplica, ma si uniscono intorno alla maniglia della bilancia. Sa: devo farlo io stesso, non devo aspettarmi da altri che mi tengano nel giusto equilibrio. Ciò nonostante, però, in questo fare da sé vi è un gesto di preghiera e di forza. Se si tralascia la bilancia è un angelo che prega.
Rudolf Steiner paragona talvolta il nostro io superiore a un bambino piccolo, poiché si tratta dell’arto costitutivo più giovane nella nostra costituzione umana.
Non riusciamo a sapere di chi sia il ritratto. Certamente non un guerriero, piuttosto un dotto o un ricco commerciante. Un rosacrociano? O un adepto di una corrente umanistica di ricercatori spirituali? Certamente appartiene a un contesto dal quale proviene la runa del piccolo angelo. Si può supporre che anche il pittore vi fosse collegato, in quanto si dice di Lorenzo Lotto (1480-1556) che fece molti viaggi e che i suoi quadri per gli altari mostrano una forte devozione personale rispetto alla usuale devozione chiesastica, con una nota più libera e specifica; i suoi ritratti, inoltre, non mostrano uomini trionfanti, ma uomini pensierosi che rispecchiano con sensibilità la loro epoca movimentata.  In questo ritratto tale aspetto emerge nel modo più forte e al contempo solleva un po’ il velo relativo alla preoccupazione espressa nel viso.

(Hella Krause-Zimmer, da “Imagination und Offenbarung“, 
Freies Geistesleben 2004 - Traduzione di Stefano Pederiva)


L’opera (olio su tela, 96,5 x 81 cm), datata tra il 1530 e il 1535 e intitolata “Autoritratto” è esposta alla 
Galleria Doria Pamphilj di Roma - https://www.doriapamphilj.it/portfolio/lorenzo-lotto/

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