sabato 25 aprile 2020

Due ritratti – due polarità


Ritratto di uomo (detto “Ariosto”) National Gallery

Se ci troviamo alla National Gallery di Londra, davanti al “Ritratto di uomo” dipinto da Tiziano (intorno al 1476-1576), notiamo prima di tutto la voluminosa manica di seta blu trapuntata, dipinta con grande perizia: la stoffa. E sopra la testa consapevole di sé. Su che cosa poggia questa autocoscienza? Nel senso dell’immagine: sulla stoffa. In senso più ampio: sulla materia. L’uomo non mostra molto di sé, non una bella mano, o il petto. Al nostro interesse per la sua personalità risponde con la manica rigonfia e preziosa, fredda nel colore. La costruzione della personalità si fonda su questo blu tendente al grigio che forma una specie di basamento. Una elevazione del sé sulla resistenza della materialità. Vi adatta di conseguenza il suo atteggiamento. E gli riesce. Un uomo del Rinascimento che possiamo immaginare come ospite a una tavola di cui sa apprezzare il cibo, ambizioso, vanitoso, ma non senza un certo tratto di grandezza. Ha delle ambizioni e porta le tracce dello stile mondano della Venezia di allora. Sa di essere importante e desidera che gli altri lo notino. Certo vi è anche una predisposizione all’ironia che sa prendersi gioco dei grandi propositi. La tendenza ad abbassare gli angoli della bocca è sottolineata dal modo in cui viene dipinta la barba. I capelli e la barba sono molto curati per essere adatti al volto. Non compaiono tempeste celesti, né fiamme di passione. Mantello nero, colletto bianco, su uno sfondo verde del tutto immobile. Nessun movimento libero. Fin nei moti di pensiero si sente come ideale: il sostegno della realtà terrestre. Nessuna mano aperta, non ci lascia leggere le carte, mette davanti la “spalla fredda”. Un quadro magistrale. I mezzi espressivi e quanto si vuole dire si compenetrano.


Autoritratto a 63 anni, 1669, National Gallery, Londra
Nello stesso museo: un ritratto, di cent’anni dopo all’incirca, un Autoritratto di Rembrandt. Solo tonalità calde, marroni e rossicce, con un sottile bordo bianco che emerge dal berretto e una luce bianca con tonalità gialle sul volto. La posizione nel dipinto è simile, ma l’atteggiamento è radicalmente diverso, come lo sono i colori. La spalla destra sembra ritrarsi, mentre il petto qui è visibile. Il braccio non viene sollevato e non fa da appoggio, la spalla tende verso il basso. Il mantello di pelliccia non ha nulla di decorativo, nessun adattamento, serve solo per scaldare. E così è dipinto. La manica: avvolgente, calda, priva di ornamenti, ma non indifferente e trascurata. Il volto consente alla luce di scoprirne tutti i rilievi con i loro chiari e scuri, le loro ombre. Nulla di nascosto, nessuna posa. Lo sguardo leggermente abbassato guarda fuori dal quadro, incontro all’osservatore, ma non si rivolge a lui. È un autoritratto: il pittore guarda se stesso. Nessun volto liscio, per quanto senza barba, nessuno sguardo artefatto che intenda confermare l’atteggiamento della spalla. L’uomo del Rinascimento è superato. È svanita la coscienza gonfia di orgoglio alle soglie della nuova epoca; preoccupazioni e lotte interiori gravano sulla vita. Il pittore ha sessantatré anni. Capelli grigi spuntano da sotto il berretto.
Quanta strada dall’autoritratto di Rembrandt con il grande cappello e le gloriose penne! E’ tutto passato, non esiste più. Ma non vi è un capo chino, o una grigia povertà. Neppure la ricerca di una dignità della vecchiaia, nulla di tutto ciò. Perché il quadro ci scuote? E’ sul filo sottile della rassegnazione, ma è senza rassegnazione. Una consapevolezza. Colui che qui guarda se stesso, non vuole farsi illusioni di sé. Guardare soltanto come sono le cose e come sono state. E sopportare questo sguardo, accettarlo. Si prende in mano da sé, un cerchio chiuso, cerca la disposizione interiore in se stesso. La fine della vita non è lontana, Rembrandt morirà quello stesso anno. Tutto ciò che era si distacca da lui: trionfi, errori, sguardo indagatore verso ciò che è importante. Esercizio a tener testa con pazienza. Oggettivamente, senza aggiunte o cose da togliere. Non fa smorfie, non ride di sé, non si fa un esame. La riflessione poggia sul disegno del destino nella sua vita e sui segni che gli ha lasciato sul volto. Dietro a questa calma si placano le tempeste della ricerca del proprio sé. Attraverso tutti i volti sempre di nuovo lo sguardo ai propri tratti. Ancora ora. Ma ora sembra trovare qualcosa che non ha mai trovato prima. Perché non cerca più per questa vita: solo autoconoscenza. Un uomo maturo per vedere il suo karma, che trattiene le scosse, che sopporta se stesso.


Due ritratti, due mondi. La sicurezza delle forme di uno, le belle proporzioni, il consapevole accordo di colori, tutto questo è sulla via che cerca la bellezza, l’idealizzazione (la bella apparenza), la realizzazione delle leggi estetiche. Questa via ideale entra in contraddizione con se stessa, se la si imbocca per innalzare una personalità troppo terrena. Tocca allora, o la supera, la soglia dell’alterigia. L’altro ritratto: qui pittoricamente non si percorre una via orientata all’apparenza e al gioco delle belle forme. Questa via non segue la bellezza, ma la bontà. La bontà diviene bellezza da dentro e mette in una luce che non è esteriore le rughe e l’età, una luce la cui qualità si sente come grazia. La grazia quale interiore elemento divino rende possibile l’esistenza umana e compenetra il corso della vita. L’uomo sul quadro ha una sicura consapevolezza di sé, non si sente delimitato, ma immerso e avvolto. L’alterigia personale si è sciolta, l’individualità guarda attraverso la maschera terrena, dà l’atteggiamento, configura i tratti del volto e osserva attraverso gli occhi l’apparizione peritura, nutrita dalle profondità dell’imperituro. A questa autocoscienza si accompagna devozione.
L’elemento apollineo è diventato freddo nell’uomo di Tiziano. La personalità terrena assorbe più di quanto voleva da questa componente terrena. L’elemento dionisiaco è diventato portatore dell’umano in Rembrandt. Luce di fiaccola diviene calore dell’anima.
Il primo quadro si ammira. Il secondo quadro muove l’anima e desta la coscienza per il destino.
Hella Krause-Zimmer, da “Imagination und Offenbarung“, Freies Geistesleben, 2004
(Traduzione di Stefano Pederiva)

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