martedì 4 maggio 2021

Maggio - di Fabio Tombari

La grossa storiona che col flusso dell’acqua risale di notte la corrente del fiume, guarda sospettosa qua e là le lontre e l’altra piccola gente, ma soprattutto essa teme gli uomini che insidiano dalle sponde. Oh, non per sé, ma per i suoi ottocentomila figli in boccio.
Silenziosa, fa cenno al preferito di seguirla, e insieme scivolano fra le canne dell’argine su la mota del fondo a combinare in segreto il caviale.
L’acqua che li nasconde è come una vetrata chiusa sopra un giardino, una vetrata fra cui s’è impigliato un raggio d’argento.
Così per una sola notte lunare si popolano in questo mese le acque dei fiumi e dei mari.

Fuori il giovane Parsifal s'avvia sotto le stelle. Mercé tutte le covate di pesci, di cervi, di uccelli, di lepri, egli incede simile a un santo attraverso un bestiario favoloso.
"L'amore ha dunque la sua ragione di essere" egli pensa.
Oh, come benedice queste piccole nascite il giovane Parsifal! Ora soltanto, di fronte alla rivelazione della maternità che redime tutti gli amori, egli può fissare sereno il volto della bellezza.
E quando i fiori del giardino di Klingsor emaneranno il loro effluvio, il giovane eroe piegherà il capo commosso di fronte all'innocenza di quel Dio che si rivela per segni così primitivi.
Come tutto è semplice in natura; la stagione dei fiori, la stagione dei frutti, la stagione della morte...

Ma non così la pensano i vecchi gnomi saputi. Raccolti in crocchio, all'ombra di un orcio rotto,
Pfui Teufel! Non se ne può più con queste pianticelle del giorno d’oggi. Tutta l’aria è impregnata della loro cipria... (i vecchi gnomi starnutano). E azalee e rose e gladioli e begonie, madreselva, gardenie: cosa non inventano per affidare quella magica polverina? Si vestono dei più sgargianti colori, si profumano tutte... Es sind am Brunnen - continua il barbogio, abbassando la voce - ci sono là dietro il pozzo drei Daphne profumate di odori diversi. Capite le civette! Anche di notte, anche di notte, verstanden? Eccole là, guardatele. Silene e saponarie e petunie e nicoziane: così avvizzite, cadenti, sembrano piangere la loro rugiada sopra non so quale tomba; ma di sera, um sieben Uhr, verso le sette...”
In quel momento, a pochi passi dal crocchio dei nani, un giovane aglio comincia a dare al naso...
“Accidentaccio!”
Tutti gli gnomi indignatissimi scattano come un sol gnomo, e si allontanano a piccoli grandi passi. Una pingue rosa spampanata, si arriccia voltandosi dall'altra parte. “Dio mio, che scredito per i vegetali!”
Ma l’aglio non se la dà per inteso. Imparentato col giglio, col cristianissimo giglio, fiorisce anche lui in oriente nei giardini di Maometto.
“Ciascuno a suo modo, del resto” e riprende a puzzare più forte che mai.
Maggio però non è soltanto il mese dei fiori, è anche quello in cui nascono le aquile.
Non per niente vi è nato colui che è volato più in alto.
Oh, se la madre avesse saputo! Quel fantolino che miagolava al suo fianco conteneva in germe un mondo universo.
Qualche ora più tardi una giovane balia coi fiocchi, tutta pomposa, scortata dalle comari, portava l’infante al bel battistero di San Giovanni.
Il vecchio curato con tanto di cotta e stola imprende a leggere il rituale: “In nomine Patris et Filii...
E il cittino comincia a piangere.
“Come si chiama?” chiede il curato interrompendosi.
“Ser Durante degli Alighieri.”
Gesummaria che spavento per quel povero sacerdote! “Possibile!?...”
“Proprio lui, reverendo - risponde la balia coccolandosi il marmocchio fra le braccia - proprio lui: uno di quei piccoli moccoli che se si spengono, andiamo tutti a letto all’oscuro.”

Invece nulla di tutto questo.
Dante che nasce è come gli altri bambini, come i minuscoli storioni, come i cuccioli, come le tenerissime piante.
È la natura che accelera il suo ritmo per supplire a tutte le fanciullezze passate, la Terra stessa che ritorna bambina senza ricorrere per intermediari ai fabulisti. tutti i prodigi della favola sono là come a sei anni: il grillo ciarliero, il tesoro di coralli e di perle in fondo al mare, le rane che parlottano giapponese, l’uccellin belverde, e perfino, dopo la pioggia, le lumache ortolane e l’arcobaleno su in cielo a invitar le libellule.
E neppure il vigile amore materno manca a questa fanciullezza. Oh, se gli umani fossero innocenti quanto la Terra, come potrebbero dormire e sognare tranquilli sotto lo sguardo di tanta Madre!
È il mese della Madonna, allora che sui trebbi, per sentieri nascosti, o addosso alle montagne, le bambine vanno a infiorare le cellette.
Quella bimbetta dai grossi zoccoli, che stenta a correre dietro alle altre all’albero delle Fate è Jeannette, Giannetta di Domrémy. Il 30 è la sua festa, e tutta felice vi corre incontro, perché per aver danzato al Maggio, sarà arsa viva sul rogo, come una strega.
“Vergine madre, figlia del tuo figlio” cantava qual bambino che pianse a S. Giovanni.
Poiché il Sole è declinato da poco, l’ora del crepuscolo fa del cielo un’immensa cupola d’oro e di pallide stelle. E la Terra odora coi gigli come un altare.
Tornano a spuntare Ercole, il Cigno, la Lira. Dalle selve sale il cinguettio degli uccelli, il tubar delle tortore, e a notte ...una frenesia. È lì fresco, argentino. Quanto più chiara è la notte, tanto più limpido è il canto. Se ode cantare un poeta si tace; così il poeta si ferma per ascoltar l’usignolo.
In antico era il mese dei grandi raduni della cavalleria. All’Aquila, in Aquisgrana, e vi convenivano tutti: vescovi, baroni, marchesi, conti palatini. Era il mese dei tornei, delle grandi fiere orientali: Brindisi, Bari, Senigallia e Venezia congiungevano oriente e occidente. E mentre i trovatori andavano di castello in castello, i giullari cantavano storie d’amore sulle piazze dei borghi.

Maggio, età felice per i poeti da poco, per le musiche leggere, e i pittori da birocci: nessun genio ha voluto ritrarti: neppure Raffaello, neppure Virgilio, neppure Botticelli.
Troppo effimera è la tua bellezza: il genio non ti stima.
Domani il sole passerà sui campi, arderà, brucerà tutto. Gli uomini scenderanno a te con le roncole, coi falcetti, con le falci fienaie, faranno di te un gran carico: ti daranno alle bestie, ti porteranno alle stalle, al mulino.
Vietata da Enrico III la temerità di avanzare pronostici, dobbiamo tacere; ma l’asino che ispirato da te cantava d’amore, proprio lui, ti trascinerà per le strade. Perfino l’aglio, quell'aglio che puzzava tanto - ricordi? - verrà estirpato, tritato, battuto e cotto a condire secondo che Artusi consiglia.
E nell'insieme potrai considerarti felice se lo stagionato barone, venuto in campagna per la caccia alle quaglie, serberà di te quel fiore che porta all'occhiello.
Eccolo là, sull'aia, sudato per aver ballato con la baronessa il valzer del Conte di Lussemburgo.
Inutilmente il chiù, nascosto fra i rami, ripete a goccia a goccia la nota del tempo che passa: a Maggio il barone si sente giovane come a vent'anni.
“ Quant'è bella giovinezza...”
Improvvisamente la radio tace per riprendere poco dopo qualcosa di più colossale, qualcosa di tremendo: Beethoven, nel motivo funebre dell’Eroica.
Il vecchio barone si sente seccato. Pensa a qual povero Bonaparte che muore laggiù sotto il tramonto sanguigno della sua inutile gloria, ai propri cani che perdono il fiuto come gli amici; e quasi quasi comincia a preoccuparsi per i suoi anni. Suona per il cameriere.
“Cosa c’è per cena?”
“Capretto al forno, carciofi, insalata di asparagi, fragole, ciliegie...”
“Bene! Portate in tavola anche quella bottiglia di spumante.”
“Chi vuol esser lieto sia...” pensa Rondò aggiustandosi il fiore.
Fuori nella notte, fra il gracidare delle rane, qualche lucciola e molte stelle.
Ecco, sono nate le Pleiadi.
Metà chiaro e metà scuro, il mondo galleggia alla deriva, mentre il Sole vela ancora il mistero dei Gemelli.
fotografie di Alice Realini, Mariaelisabetta Realini, Cris Thellung

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