venerdì 10 giugno 2016

Giugno - di Fabio Tombari


Quel filosofo che sdraiato sulla sabbia del mare cura il suo reuma, ha ben ragione di dire al pasticciere che va a offrirgli una gerla di bignè: - Scansati, Alessandro, ché mi privi del Sole.

Tutto ciò che lo circonda grandeggia in un quadro pagano di civiltà classica. Ogni impiegato in licenza ruota sulla rena a torso nudo come un gladiatore; ogni accappatoio nasconde il busto di un Ercole, di un Cesare. Il papà che va a fare la sua prima vogata in mare è accompagnato all’imbarco da tutta la famigliola. Eccolo là in piedi sul battello, la mano sulla spalla del pescatore per non cadere. L’asciugamano che l’avvolge lo fa stranamente assomigliare a Regolo. – Tornerà il babbo? – Ma sì, sciocchina; puoi pensare che Attilio manchi di parola?

Con Giugno che comincia s’inizia un’età aitante, gioconda, aderente ai miti dell’Olimpo, del Parnaso, propizia al nudo, ai tritoni, alle sirene; allora che la bruttezza delle donne acquista un valore morale.


In ciò le stagioni non fanno che riandare alle quattro grandi età dell’arte: Primavera – rinascimento; Inverno – medioevo barbarico; Estate – classicismo.

Forse una volta, nella preistoria, è esistita un’età autunnale, certo è che basta una pioggia, un po’ di freddo, i primi freschi di settembre, e tutto ritorna al romantico come ai tempi di Werther, di Ossian e del Diluvio Universale.

Artisticamente Giugno è come l’età classica: non ha geni musicali.

Si racconta che negli antichi tempi Eunomo ed Arsitene si contendessero la palma della musica. Una cicala volò sul primo, si posò sull’arpa sua al luogo di una corda infranta e gli procacciò la vittoria. Ma Eunomo come musicista non ci soddisfa un gran che, e noi daremmo oggi più volentieri la palma alla cicala.

Nonostante ciò, anche senza musicisti, l’estate ha una sua musica: il jazz.

Oh, il tango, tira e molla, ballato su di una zattera, flusso e riflusso, con un po’ di mal di mare!

Di sera davanti a un bicchiere di birra, niente è più sciocco che ascoltare accanto all’amica quell’ultima sonata in voga che in autunno fischietterai da solo, con una punta di nostalgia nel portafogli.


Come ai tempi di Diana, di Ercole, di Orione, non più caccia alla selvaggina pacifica. A Giugno, non è permesso cacciare che i leoni, gli scorpioni, le pantere, i minotauri, i granchi, le idre. Ogni albatro che sorvoli i navigli, segue quelli che vanno verso il polo.

I marinai riposano di giorno per alzarsi al meriggio ad accomodare le reti, a ristoppare la tartana, e ripartire al tramonto, come i Feaci.

Mentre le lucciole vegliano sul grano.

A detta degli astrologhi, Giugno è sottoposto all’influenza di Mercurio, pianeta convertibile, le cui qualità sono di essiccare e di inumidire, secondo che sia o no congiunto con la Luna; di dominare le noci e le mandorle se congiunto con Marte, e con Venere il miele e i bachi da seta.

Il Sole che entra in Granchio segna col solstizio d’estate un periodo di triplicità ignea, idoneo alle cose della natura e al loro nutrimento. Quando la Luna è in quel segno conviene arare la terra arida, imprendere viaggi per mare. Di questo mese i tempi improvvisi e grandi, tempestosi di tuoni e di folgori, provocati dalla stella Arturo.

L’oroscopo predice i più facili guadagni, matrimoni felici, rivalità sportive, morti da fulmini, vincite al lotto.

Consigliabile per i formidabili appetiti del mese e per i pranzi delle mietiture, una cucina leggera, vegetariana, a base di erbe, pistacchi, semi di melone, pignoli, con contorno di abbacchio, oche ripiene e maialetti al forno.

Nella festa di San Giovanni Battista, per il 24, appaiono concentrate tutte le forze, le credenze e le pratiche della antichissima festa del Solstizio estivo. Nella notte che si passa vegliando avvengono prodigi e meraviglie. La felce fiorisce e sfiorisce, fornendo a chi sappia impossessarsene un potente talismano; le acque si tramutano in sostanze preziose, gli animali favellano, le streghe cavalcano la granata di casa. Momento solenne è l’aurora, allora che il Sole danza tre volte sul mare e si lava la faccia. Come il Sole, così si lavano le donne, i bambini, poiché l’acqua del mare in quell’ora ha qualità mirabili. Anche la rugiada della notte è causa di effetti sorprendenti, sì che grazie ad essa lo stesso Cyrano poté compiere il suo viaggio nella Luna.

Mirabili poi contro ogni maleficio sono le erbe cresciute in questo giorno, come la verbena, l’iperico, l’artemisia. Giornata di pronostici, offre alle fanciulle il mezzo di conoscere la loro sorte amorosa in maniere svariate mediante l’uso dei fiori, olio, piombo liquefatto, ciabatte per le scale e chiara d’uovo al sereno.

In città con le bocciature e i gelati, è il tempo in cui si sciama per le vacanze; mentre in campagna tutti i lavori dell’anno si congiungono e s’accumulano; allora che sulla fronte dei rustici, dopo la mietenda, permane un riflesso di Sole come sulla fronte dei geni.

Sono i giorni delle fienagioni, dei pagliai, dei bachi da seta, della trebbiatura di grani precoci. Tutto ciò sotto un tempo rosso, incerto, feroce di caldo, di improvvisi uragani, di vento, di grandine; quando il barone dietro casa dichiara guerra all’atmosfera per bombardare le nubi col suo cannone grandinifugo.

Di sera, rotto dalla fatica, Eusebio ritorna a casa, ripone gli arnesi: preoccupato si riaffaccia a guardare il tempo, a consultare il tramonto; poi torna dentro, si carica d’uno zaino di lamiera e riparte a dare lo zolfo alle viti e al paesaggio una nuova patina etrusca.

Ma Giugno, poiché le guerre scoppiano d’estate, è anche il mese della storia. Così, mercé le fatiche umane e le imprese eroiche, ogni tempo segnala una propria grandezza.

Attraverso le effemeridi di Giugno è l’Italia che avanza a grandi giornate.

Sono i giorni di Solferino e San Martino, della spedizione di Sapri, la difesa di Roma, l’offensiva del Grappa. Il mese in cui Manara, Baracca, La Marmora, Cavour, assurgono con la morte a eroi tutelari della patria.

Come ieri, 2 Giugno, Colui che solitario era sbarcato su di uno scoglio con un sacco di legumi e una balla di merluzzo secco, bottino di cinquanta vittorie, si spegneva sul piccolo letto di ferro in mezzo ai pochi familiari.

Simile a Tristano, aveva chiesto di poter vedere il mare, perché su quell’orizzonte sarebbe dovuta apparire la vela bianca del suo amore, la vela nera della morte.

L’artrite e il pensiero di Roma affidata a un parlamento di avvocati come una banca ai curatori, gli mordevano le carni. Egli taceva. Non un grido, non un lamento, non una di quelle imprecazioni del delirio su cui affiorano le basse emanazioni della natura umana. Moriva senza rancori, benedicendo.

Di tanto in tanto levava gli occhi intorno a guardare meglio il mare, il figlio. Sorrideva al gatto, alle sue gardenie, a quell’orologio che si sarebbe fermato alle sei in punto come il suo cuore.

Poiché una nave transitava lontano, egli indugiò a guardarla, a seguirla, ad affidarle quella stessa nostalgia con cui bambino aveva sognato lontane terre promesse.

L’aria era dolce, chiara, senza vento.

Due capinere discese dal cielo sul davanzale cinguettavano vicino al suo letto.

– Lasciatele, – egli disse – sono le anime delle mie bambine morte.

Si adagiò, chiuse gli occhi, rivide sua madre così povera e soave, riandò al tempo lontano, la tartana dal S:Giorgio sulla vela; quel mattino che dal cassero dell’Itaparica aveva scorto sulla spiaggia col cannocchiale, aveva scorto una giovane attingere acqua. Ricordò una sera di agosto alle Mandriole; chiamò forte: – Manlio!

Poi seguiva una musica. Un’armonia dolce quasi di flauto sospesa fa lui e il cielo, un canto come di capinere, di bambine in volo, come la voce di una madre, della sua Anna così querula e pur così lontana; un richiamo lieve, invitante, che gli fasciava le carni, le giunture, che lo faceva dormire; un’armonia presente e molto antica, come la voce del vento, la voce stessa del cosmo.

– È passato – disse il dottor Cappelletti.

Donna Francesca, Menotti, la Filomena, il Dottore si posero in ginocchio, insieme con una giovine Donna, giunta allora e non vista, che si prostrò sulla soglia, dietro la porta.

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