Ho fatto un sogno questa notte. Mi trovavo sotto un albero di mele, per terra sette ceste colme di frutti...e li vedevo arrivare, come quel giorno di tanti anni fa. Il suono delle loro voci li precedeva, ma non erano più lugubri inni, erano canzoni allegre che cantavano la primavera e l’amore. Poi li scorgevo, lungo il sentiero che scende dalla montagna: sorridevano e recavano doni, pagnotte dorate, focacce dolci, morbidi panni di lana. Tutta la gente del villaggio accorreva e fino a notte tarda ballavamo intorno ai fuochi, in pace e letizia, come se non avessimo mai subito torti da loro, come se non ci fossimo mai alleati con i loro nemici…
In questo momento la luce fioca del tramonto illumina a mala pena il grande vaso di terra cotta dove qualche moscerino è ancora attirato dall’odore dolce del succo di mela. Oggi abbiamo preparato il sidro: alcune di noi hanno lavato le mele, altre le hanno frantumate, altre ancora le hanno torchiate; infine abbiamo travasato il succo nelle piccole botti di legno, dove resterà a fermentare per qualche settimana. Poi lo potremo scambiare con orzo e farina : le altre provviste sono già nel magazzino e la legna raccolta in cataste. La breve nevicata dei giorni scorsi lascia presagire un inverno mite, come dicono i nostri proverbi.
Dalla finestra le case sparse tra gli alberi e la chiesa in pietra mi appaiono come sagome scure: oltre quei muri i pregiudizi e il malanimo ci hanno osteggiato a lungo. La gente e i preti non volevano accettare che tante donne sole vivessero insieme, lavorando e aiutandosi a vicenda.
Quando l’Eretico e i suoi furono sconfitti, il sangue versato, i morti che piangevamo, la miseria e la carestia, tutto questo accomunò noi che eravamo rimaste orfane, abbandonate o vedove. Alcune donne che, per evitare la condanna a morte, avevano dovuto rinnegare non solo ciò in cui avevano creduto, ma la loro vita di quegli anni e i compagni uccisi, chiesero di poter entrare nella nostra piccola comunità. All’inizio le accogliemmo con diffidenza, più per la necessità di avere altre braccia a lavorare che per autentica carità cristiana. Quanto a me, non potevo ancora perdonare all’Eretico e a chi era stato con lui d’aver distrutto i miei sogni più belli.
Sono già trascorsi dieci anni da allora: fra noi adesso c’è armonia e serenità e, quando penso a Teodoro, il rimpianto, il rancore per la sua partenza sono meno amari..
Quando ancora le truppe del Vescovo non avevano stretto il loro assedio ed era possibile tornare in paese, Teodoro venne da me per convincermi a seguirlo.
“Nelle parole del Frate” mi disse, “ho trovato quello di cui abbiamo parlato tanto io e te: giustizia ed eguaglianza per tutti. Sul suo volto splende la luce della verità ed è così forte che lo sguardo la sostiene a fatica, ma il cuore è pronto alla lotta, a versare il proprio sangue e quello dei nemici.”
“Un Dio misericordioso creò le tenebre perché la troppa luce non ci accecasse” gli risposi con asprezza, e da allora non lo vidi più.
Le donne che erano con il Frate mi dissero che dopo la battaglia era riuscito a sfuggire alla cattura, percorrendo a ritroso il sentiero che aveva portato qui gli eretici, con l’intento di valicare i monti e di raggiungere le terre del nord dove altri avevano cercato un rifugio e nuovi maestri.
Spero soltanto che abbia trovato la strada per raggiungere i propri ideali...
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