Nella chiesa palladiana dei Benedettini di San Giorgio Maggiore, nel punto di intersezione fra la navata e il transetto, si trova quel che potrebbe essere un battistero di pietra bianca, senza alcun ornamento. Da questo pseudo-battistero si innalza a tratti una colonna di fumo che sale verso la cupola, costringendoci ad alzare gli occhi al cielo. Potrtebbe essere una discesa sulla terra della luce divina, come nel libro di catechismo della mia infanzia, materializzando la presenza di un Dio che non si manifesta. Potrebbe essere un'Ascensione, sia cristiana (Cristo, la Vergine), sia musulmana (il Profeta), ebrea (Elia) o buddista.
I getti di vapore si levano incerti, in volute, in mulinelli, spinti, aspirati, più o meno densi, talora evanescenti, talora nascondendo lo spazio circostante. Mi è piaciuta questa incertezza, questi tentativi spesso vani di innalzarsi: vi ho visto un dubbio, un'incertezza sulla presenza della grazia che a volte si offre e a volte si ritrae, ma che non è mai assicurata. E sono rimasto assai deluso quando mi hanno confidato che si sono verificati alcuni problemi tecnici di temperatura, igrometria, correnti d'aria. Era per questi inconvenienti che la colonna vacillava, si dissolveva, riusciva a riformarsi solo dopo molto tempo. Preferisco di gran lunga la mia "spiegazione" mistica.
E' un'opera sul soffio, sull'immateriale: Ascensione di Anish Kapoor. E' già stata esposta a San Gimignano, in Brasile e in Cina, ma è la prima volta che la si vede in un luogo sacro (ed è la prima volta che la Basilica ospita un'opera d'arte contemporanea). Si tratta di una creazione molto più raffinata, più spirituale, più ricolma di energia della mostra al Grand Palais. Qui la tecnica diviene trasparente, non più materiale, fa apparire una forma partendo dal nulla. Mi sarebbe piaciuto vedere fumi d'incenso durante una Messa solenne e le teste chine nel momento dell'Elevazione, mentre la colonna si alza.
Per Kapoor è anche un richiamo alla colonna di nubi attraverso la quale Dio si manifesta a Mosè e agli Ebrei nel deserto (Esodo, 33): di madre ebrea irachena, interessato alla Cabala, Kapoor si rifà qui alla tradizione ebraica e musulmana della non- rappresentazione di Dio, mentre il Nuovo Testamento, grazie all'Incarnazione, autorizza la rappresentazione del divino. Forse quest'opera è un ponte tra religioni che rifiutano la raffigurazione antropomorfica di Dio (animismo, ebraismo, islam) e altre in cui Dio ha figura umana (mitologia greca e romana, cristianesimo). Si potrebbe senz'altro approfondire l'antinomia tra queste due culture, queste due concezioni del sacro: quella del visibile, del razionale, del manifestabile e quella dell'invisibile, del nascosto.
pubblicato da Amateur d'art par Lunettes rouges - 10 giugno 2011
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