venerdì 17 maggio 2013

Il sogno e la letteratura

Joseph Addison osservava che l'anima umana, quando si sbarazza del corpo e sogna, è al tempo stesso teatro, attori e pubblico. Potremmo aggiungere che è anche autore della favola che sta vedendo.
Un'interpretazione letterale della metafora di Addison potrebbe indurci a sostenere la tesi, pericolosamente affascinante, che i sogni costituiscono il più antico e certo non il meno complesso genere letterario del mondo.
Il sesto libro dell'Eneide sostiene che sono due le porte divine attraverso le quali ci giungono i sogni: una d'avorio, che è quella dei sogni fallaci, e una di corno che è quella dei sogni profetici. Si direbbe che i poeti abbiano oscuramente intuito come i sogni che prevedono il futuro siano meno preziosi dei sogni fallaci, invenzione spontanea dell'uomo che dorme.
Coleridge scrisse che le immagini della veglia ispirano sentimenti, mentre nel sogno i sentimenti ispirano le immagini. (Quale misterioso e complesso sentimento gli avrà dettato il Kubla Khan, che fu appunto dono d'un sogno?) Se una tigre entrasse ora in questa stanza, noi proveremmo paura; ma se sentiamo paura nel sogno, creiamo una tigre. Sarebbe questa la ragione visionaria del nostro timore. Ho detto una tigre, ma siccome la paura precede l'apparizione improvvisa, per capirla possiamo proiettare l'orrore su una figura qualsiasi, che nella veglia non è necessariamente spaventosa.
Un busto di marmo, una cantina, l'altra faccia di una moneta, uno specchio. Non esiste forma nell'universo che non possa contaminarsi di orrore. Di qui, forse, il sapore particolare dell'incubo, che è assai diverso dallo spavento o dagli spaventi che ci può infliggere la realtà.
L'arte della notte è andata penetrando l'arte del giorno.
Jorge Luis Borges

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