Palazzo imperiale - Sala del trono
Il Consiglio di Stato in attesa del sovrano. Squilli di tromba. Entrano Cortigiani d'ogni grado. L'Imperatore sale sul trono
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Tesoriere: Sire, ahimè, nei vasti tuoi regni in mano a chi sono andati a finire i capitali? Abbiamo abdicato a tanti diritti che non abbiamo più diritto a nulla. Anche sui partiti, comunque si chiamino, non c'è più da far affidamento; che ci biasimino o che ci esaltino, l'amore come l'odio ha lo stesso valore. I ghibellini come i guelfi si rintanano per stare in pace. Chi mai vorrebbe aiutare il vicino? Ciascuno ha da pensare a sé. La borsa ognuno la tien chiusa; ognuno gratta e raspa e ammucchia, e le nostre casse restano vuote.
Maggiordomo: E io debbo pagar tutti, indennizzar tutti. L'ebreo non mi risparmierà; quello esige gli anticipi, che anno per anno si pappano gli introiti. Tutto è impegnato, anche il materasso, e il pane che si mangia è ancora da pagare.
Imperatore (pensa, indi a Mefistofele): Dì un po', buffone, non hai anche tu qualche guaio da metter fuori?
Mefistofele: Io? Niente affatto!......................................
Dove mai a questo mondo non manca qualcosa? All'uno manca questo, all'altro manca quello. Ebbene qui manca il denaro. Naturalmente non si trova da raccattarlo su da terra; ma la saggezza sa estrarlo dalle profondità. Nelle vene dei monti, tra le fondamenta delle mura c'è da trovare l'oro coniato e da coniare.
Imperatore: Con queste chiacchiere non hai cavato un ragno dal buco; manca il denaro: sù dunque, forniscilo!
Mefistofele: Vi fornirò tutto quel che volete, e anche più; infatti è facile, ma talvolta il facile è difficile.
L'oro è lì, ma pigliarselo? Lì sta l'arte. Chi ne è capace?
Riflettete un istante: nei periodi terribili, in cui fiumane di popoli si riversarono, sommergendo paesi e genti, molti, colti da paura, seppellirono i propri tesori nei luoghi più disparati. Così avvenne al tempo della potenza dei Romani, così continuò a essere fino a ieri, anzi fino a oggi. Ora tutto questo ben di Dio se ne sta appiattato sotto terra. Ma il suolo è dell'Imperatore, dunque i tesori sono suoi.
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Giardino di Villeggiatura
Sole mattutino. L'Imperatore e la sua corte. Faust, Mefistofele vestito decorosamente, entrambi inginocchiati, si rialzano a un cenno dell'Imperatore.
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Maggiordomo (entra frettoloso): Serenissimo Signore, non avrei mai pensato in vita mia di poterti recare più bella notizia di questa che mi riempie di gioia e in tua presenza mi fa andare in visibilio: tutti i debiti sono stati pagati, soddisfatti gli usurai dalle grinfie rapaci e io, libero da quell'infernale supplizio, più sereno non potrei essere in paradiso.
Capo dell'esercito (segue rapido): Si è dato un acconto sulla paga ai soldati e tutto l'esercito ha rinnovato la ferma.
Imperatore: Respirate a pieni polmoni, le rughe si sono tutte spianate. Come fu che tutti arzilli vi vedo arrivare?
Tesoriere: Domandane a costoro che compiron l'opera.
Faust: Spetta al Cancelliere di esporre l'evento.
Cancelliere (avanza lentamente): Udite dunque tutti e contemplate il foglio carico di destino che tutto il dolore trasformò in felicità. (Legge) "Facciam noto a chi lo voglia che questo biglietto val mille corone. A sicura garanzia del suo valore sta il tesoro incalcolabile sepolto nel sottosuolo del regno. Si è provveduto affinché l'oro appena scavato sia sostituito alla carta."
Imperatore: Presento un delitto, una frode immane! Chi falsificò qui sotto la firma sovrana?
Tesoriere: Ricorda, sire! Tu stesso firmasti stanotte. Tu tracciasti nitidamente la tua firma, poi nella notte stessa, mille artisti la riprodussero a migliaia di copie. Perché il benefizio ridondasse su tutti stampammo tosto tutta la serie: fogli da dieci, da trenta, da cinquanta, da cento son lì pronti.
Imperatore: E per il mio popolo vale come oro buono? I soldati e i cortigiani se ne appagano come stipendio? Mi meraviglio, ma devo lasciar correre.
Mefistofele: Un biglietto di banca invece di oro e di perle è tanto comodo; si sa esattamente ciò che si ha; a piacer nostro ci si può ubbriacare di amore e di vino... E ormai la gente non vuole più altro, ci si è abituata. Così d'ora in poi in tutto l'impero ci saranno a dovizia gioielli, oro... e carta.
Imperatore: Il nostro paese vi deve la sua prosperità!
Wolfgang Goethe Faust - II parte - Atto I
I quadri facevano parte della mostra "Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità"
a Firenze, Palazzo Strozzi, conclusasi il 22 gennaio, ma raccontata da Lunettes rouges
1 commento:
e si continua così, ancora oggi!
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