venerdì 6 marzo 2015

Marzo - di Fabio Tombari


 Presso gli antichi era il primo, e primo difatti lo è ancora, come il mese in cui la natura rinasce. Se il mondo ha avuto una origine questa non può essere avvenuta che in marzo, durante l’equinozio di primavera.

È il tempo in cui maggiormente si schiudono le uova degli uccelli e dei pesci, sì che la massaia non fa in tempo a porre le uova sotto la chioccia.

Già la mattina al mercato appaiono i primi ravanelli, i primi carciofi, le prime insalatine di campo. E la pescheria riluce di tutti i tesori. Collegati col calcolo delle maree, coi fulgori del cosmo, hanno un bel sigillarsi i crostacei e le ostriche con cerniere e chiavacci. Tutti sono costretti ad aprirsi a donare ad accogliere, anche i più stretti e segreti, anche i più tristi e i più avari. Pervasi da oscura notte, oltre le zone della tristezza, anche i mostri abissali sono costretti a salire. E la foca che uscita dal fondo annusa d’intorno il tanfo oleoso dei consimili, sente nel mare che si abbatte il proprio peso, e s’abbandona alla Luna.

Intitolato a Marte, secondo gli astrologhi, sottoposto alle influenze del pianeta caldo, patrono delle querce, dei noci, del frassino; governatore di tutte le cose salate, dalle acciughe alle lacrime, dalle patatine fritte agli oceani, è il mese dei venti.

Sono come gli eroi di Omero i venti di Marzo, come gli eroi greci.
Violenti e scontrosi fra loro, ricchi di parenti, muovono alla pugna uno per volta dominando il campo nemico. Ecco Agamennone, sire di genti, il vento del Nord, fratello di Aquilone e di Bora, cugino del Maestrale. Muove dal Polo, freddissimo, nemico dei fiori, delle piogge, di ogni corruzione pestifera. Rischiara l’aria, uccide le api, gela i laghi, le montagne. Sorvola la Scandinavia, scende dal Baltico sulla Germania, sfiora le viti e i boschi del Reno, sormonta la Baviera, scavalca le Alpi. È allora che conviene salare le carni, sì che i norcini consigliano addirittura di esporle a settentrione.
Il Ponente, detto anche Favonio, è simile a Menelao, cagione di contrasto, piagnucoloso sopra tutti i venti, collaterale di Libeccio, di Zefiro che spira verso sera, padrone di greggi di nuvole. È utile agli orti, alle fave, alle biade.
Suo opposto è il vento dell’Est, simile a Ulisse divino, il vento che arriva dal mare.
Subsolano vien detto, perché spira da quella parte ove nasce il Sole. È temperatamente caldo e secco, mattiniero, nemico delle impurità, dei vapori, delle erbe; economo, conservatore di sottaceti, di ulive marinate, propizio alle arature, pastore di mandrie di onde.
Ha per collaterale Scirocco, suscitatore di marette d’argento, signore di pesci.
Ma perché il piè-veloce Achille tarderà tanto a muoversi? Spira di rado l’Austro che viene dall'Africa. È vento caldo, turbolento, impetuoso; nocivo alle biade perché le fa scemare avanti che compiscano il grano; ma è amico dei fiori, degli orti, utile ai frutteti, odoroso per i cavalli. Lo stallone brado che per la maremma allarga le froge, nitrisce e batte l’unghia sui sepolcreti etruschi, sente ribollire in sé il puro sangue dei padri.
E però Marzo è il mese degli equini, allora che i depositi di Milano, di Roma, di Suffolk, d’Ackney, aprono le loro stazioni di monta; quando hanno luogo le fiere cavalline di Longiano, di Cittadella, di Ciriè, di Verona.
E il ladro di bestiame che in questo mese entrasse di notte in una scuderia di cobs e di berberi, li sorprenderebbe svegli in attesa.
In Marzo i venti delle steppe e delle praterie smuovono le criniere a ondate di passione, strappano loro i più alti nitriti, li rendono irrequieti, caldi, scalpitanti: li lanciano alla riproduzione.
Simili agli eroi di Omero scendono in campo i grandi alisei, destano la campagna dal sonno, dalla notte, dai torpori dell’inverno; scompigliano i boschi, squassano le foreste. La prima rondine, spazzata dal vento, passerà in cielo come la sassata d’un gigante.
È il tempo in cui i ghiacciai delle baie polari, sganciandosi, fanno il rumore cornesco dei greggi di renne, e gemmano le betulle; allora che i Lapponi riaprono i recinti, e gli zingari di Kiev e di Poltava levan le tende per rimettersi in cammino.
Quando gli scafi riprendono il mare. L’Ariete ci vuol tutti argonauti.
Poi i venti cadranno. Nelle notti serene un nuovo spirito viene a pacificare la Terra.
È lo spirito dell’aria; preludio all'Annunciazione, è l’alito santo che passa a incarnarsi nei fiori. Ave!
In piedi sul colle, il mandorlo che al primo canto del gallo si desta in una notte di stelle, resta incantato, tende al firmamento e trema. A poco a poco, lascia dalle radici salire e spandersi su per il tronco di latte il bianco della linfa; da tutte le dita ecco nascere i figli.
Si volge d’attorno, scorge i fratelli biancheggiar come per neve; più in giù i peschi hanno dei fiori color rosa, su per la china stan per salire gli ulivi. Quale miracolo s’è dunque compiuto?
 Krimilde che sotto il tiglio della fontana di Atenwald dove cadde Sigfrido cerca la spada dell’eroe, trova, diffusa nei prati, la primavera appena infantile, quasi balbuziente a significare qualcosa che ancora non sa esprimere: è tutto un cinguettio la foresta d’intorno: passano fra i rami a tratti le onde intercettate da Wagner: e Krimilde dimentica la spada della vendetta per cercare le viole.
È la Santa Pasqua che s’avvicina, il mese del perdono, allora che tutti gli alberi, tutti, perfino i poveri ulivi, riprendono la marcia per il vasto mondo.
Ecco, scalzate le radici dal fango, i grandi alberi stanchi, muovono per le terre. Davanti, simili a bambini, affrettano i mandorli, i peschi, spargendo fiori da tutte le dita; seguono in fila gli ippocastani, i platani dei viali, le acacie, portando le spine della passione divina, i ciliegi dalla scorza d’argento.
Che fragor di marine nell’aria quando avanzano i pini di Cervia e di Ravenna, e quanta dolcezza allora che sfilano i meli dalle chiome fragranti, gli olmi fioriti, i tigli dell'Esplanade!
Alti slanciati marciano i pioppi della scorta d’onore. Ehlà! È la giovinezza che passa con loro, il cinguettio dei ghiareti, lo scintillio dei mulini distanti, i frulli delle lodole, i canti delle valli lontane.
Arrivano i frassini, i lecci, l’alloro; convengono dalle selve alte, dagli orti odorosi, ascendono il Campidoglio.
Grandi, villosi, barbarici, incedono le druidiche querce, i castagni dei boschi dal passo grave, i grandi cipressi chiusi, i faggi della Verna, gli alti fusti del Monsalvato.
Ehlà! Passano gli abeti giganti, i larici sommi, le alte lance pesanti devote al San Gral. Cantano al vento le nevi consunte, il ritorno degli usignoli, il fluire delle correnti nascoste.
Curvi, le chiome disciolte, arrancano i salici, i piccoli nespoli torti, i fortissimi aceri. Poi, ultimi, sciancati, feriti, simili a mendicanti d’amore con in mano le palme, i poveri ulivi cari al Messia.
È la natura che avanza col Sole, quando tutta la terra risuona sotto la ripresa possente delle vegetazioni.
I bambini che frugano a cercar le uova dipinte, ritrovan nel covaccio, ancor caldo, l’uovo che gli antichi avevan dedicato al Dio Libero.
E in alto, con gridi di gioia, le rondini tracciano a grandi maiuscole il nome del Signore dei Cieli.

1 commento:

Nidia ha detto...

Sono splendidi questi regali che ci fai, centellinati ma gioiellini!

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