martedì 16 agosto 2016

Agosto - di Fabio Tombari

Ed ecco l’Aurora spalancare da Oriente le porte e lanciar nell’azzurro i cavalli di fuoco, seguita in fretta dalle Ore. Il Sole che s’affaccia sossopra, simile a un guardiacaccia che ha sentito gli spari, fa scappare le ombre come bracconieri: dietro gli alberi, nelle case, nei fossi, nei pozzi.
Vede tutto il gran Sole, ma lascia fare. Rosso di vampe, maestoso, sale al proprio apogeo irradiando la terra e oscurando gli astri; fa risplendere i mari, puzzare i mercati del pesce; dà una mezza cotta alle uova di coccodrillo, un’arrostita ai bagnanti, al granturco, incendia le stoppie. Ed è pur bello questo mese con le sue angurie tricolori, i poponi, le pesche burrone, le zucche che s’arrampicano, e i favi colmi di miele che cola fin nelle rocce.
Mese augusto, solenne: la vita si dilata fino alle stelle e mette a parte il creato del nostro sentire delle nostre esperienze dei nostri ricordi.
In verità non sono le ombre, ma è il fuoco a nascondersi: nei semi, nel sangue, nei tronchi, nelle forze degli uragani. Non per niente dopo le lacrime di San Lorenzo, v’è ancora chi cerca pei campi i carboni risanatori di quella pioggia rovente.
Tutte le energie che via via verranno sprigionate, dalla fecondità della terra all’elettricità delle turbine, dal calore della lana alle fiamme del petrolio dei rovi, all’impeto dell’artista e al furor delle belve, non sono che la rivelazione di quanto vi è stato stregato con l’incantesimo dell’estate.
È il fuoco che si fa odore colore sapore, nelle cipolle nell’aglio nei peperoni, fino a brillare dall’acino d’uva e nel succo dei melagrani. È il fuoco che arrossa le guance alle pesche alle sorbe alle donne ai bambini. Nascosto nella selce, sprigionato a scintille dall’unghia ferrata del cavallo, è lo stesso fuoco delle meteore, degli Orionidi; il fuoco dell’Etna, dei rubini, della febbre, delle fosforescenze marine.
Fabio Tombari: I mesi - Agostoleggi il testo completo

venerdì 10 giugno 2016

Giugno - di Fabio Tombari


Quel filosofo che sdraiato sulla sabbia del mare cura il suo reuma, ha ben ragione di dire al pasticciere che va a offrirgli una gerla di bignè: - Scansati, Alessandro, ché mi privi del Sole.

Tutto ciò che lo circonda grandeggia in un quadro pagano di civiltà classica. Ogni impiegato in licenza ruota sulla rena a torso nudo come un gladiatore; ogni accappatoio nasconde il busto di un Ercole, di un Cesare. Il papà che va a fare la sua prima vogata in mare è accompagnato all’imbarco da tutta la famigliola. Eccolo là in piedi sul battello, la mano sulla spalla del pescatore per non cadere. L’asciugamano che l’avvolge lo fa stranamente assomigliare a Regolo. – Tornerà il babbo? – Ma sì, sciocchina; puoi pensare che Attilio manchi di parola?

Con Giugno che comincia s’inizia un’età aitante, gioconda, aderente ai miti dell’Olimpo, del Parnaso, propizia al nudo, ai tritoni, alle sirene; allora che la bruttezza delle donne acquista un valore morale.


In ciò le stagioni non fanno che riandare alle quattro grandi età dell’arte: Primavera – rinascimento; Inverno – medioevo barbarico; Estate – classicismo.

Forse una volta, nella preistoria, è esistita un’età autunnale, certo è che basta una pioggia, un po’ di freddo, i primi freschi di settembre, e tutto ritorna al romantico come ai tempi di Werther, di Ossian e del Diluvio Universale.

Artisticamente Giugno è come l’età classica: non ha geni musicali.

Si racconta che negli antichi tempi Eunomo ed Arsitene si contendessero la palma della musica. Una cicala volò sul primo, si posò sull’arpa sua al luogo di una corda infranta e gli procacciò la vittoria. Ma Eunomo come musicista non ci soddisfa un gran che, e noi daremmo oggi più volentieri la palma alla cicala.

Nonostante ciò, anche senza musicisti, l’estate ha una sua musica: il jazz.

Oh, il tango, tira e molla, ballato su di una zattera, flusso e riflusso, con un po’ di mal di mare!

Di sera davanti a un bicchiere di birra, niente è più sciocco che ascoltare accanto all’amica quell’ultima sonata in voga che in autunno fischietterai da solo, con una punta di nostalgia nel portafogli.

venerdì 11 marzo 2016

Sguardo sul karma

"La biografia, il corso della vita, evoca l'idea di un fiume che scorre, del flusso che si svolge tra la sfera del mondo prenatale e quella della vita dopo la morte. Ma come accedervi?"
La conoscenza del karma, delle sue leggi, del suo valore universale attraversò tutta l'opera di Rudolf Steiner: benché egli avesse tratto questo termine da antiche tradizioni orientali, il suo intento fu restituire all'uomo occidentale una consapevolezza sul tema del destino.
Ate Koopmans - che del libro è autore indiretto - concepì un metodo di indagine che nelle sue intenzioni doveva costituire una sorta di antropologia pratica. Prende le mosse da una serie di suggerimenti pratici dati da Rudolf Steiner nel corso delle sue conferenze sui nessi karmici: non si limita però alla sola lettura, ma tenta una concreta sperimentazione.
I libro ripercorre queste tappe, espone i fondamenti teorici, la loro applicazione ad esempi storici, all'osservazione biografica di casi attuali.
Il karma può diventare uno strumento di conoscenza e una narrazione: il racconto biografico  acquista così un valore emblematico ed esemplare, un lavoro individuale e di gruppo.

Lili Chavannes - Ate Koopmans - Paul Wormer
SGUARDO SUL KARMA - Elementi di destino nella biografia
320 pagine - € 24,00 - Edizioni Colibrì

mercoledì 9 marzo 2016

Rudolf Steiner: il film


A cento cinquant'anni dalla nascita di Rudolf Steiner, nel 2011, venne girato questo film-documentario che ripercorre i nodi biografici, le tappe del suo cammino spirituale e al tempo stesso testimonia la vitalità degli impulsi dati ad ambiti primari nella vita dell'uomo: l'educazione, la medicina, l'agricoltura, l'arte, la socialità...
Il film è ora disponibile con i sottotitoli in italiano


venerdì 6 marzo 2015

Marzo - di Fabio Tombari


 Presso gli antichi era il primo, e primo difatti lo è ancora, come il mese in cui la natura rinasce. Se il mondo ha avuto una origine questa non può essere avvenuta che in marzo, durante l’equinozio di primavera.

È il tempo in cui maggiormente si schiudono le uova degli uccelli e dei pesci, sì che la massaia non fa in tempo a porre le uova sotto la chioccia.

Già la mattina al mercato appaiono i primi ravanelli, i primi carciofi, le prime insalatine di campo. E la pescheria riluce di tutti i tesori. Collegati col calcolo delle maree, coi fulgori del cosmo, hanno un bel sigillarsi i crostacei e le ostriche con cerniere e chiavacci. Tutti sono costretti ad aprirsi a donare ad accogliere, anche i più stretti e segreti, anche i più tristi e i più avari. Pervasi da oscura notte, oltre le zone della tristezza, anche i mostri abissali sono costretti a salire. E la foca che uscita dal fondo annusa d’intorno il tanfo oleoso dei consimili, sente nel mare che si abbatte il proprio peso, e s’abbandona alla Luna.

Intitolato a Marte, secondo gli astrologhi, sottoposto alle influenze del pianeta caldo, patrono delle querce, dei noci, del frassino; governatore di tutte le cose salate, dalle acciughe alle lacrime, dalle patatine fritte agli oceani, è il mese dei venti.

Sono come gli eroi di Omero i venti di Marzo, come gli eroi greci.
Violenti e scontrosi fra loro, ricchi di parenti, muovono alla pugna uno per volta dominando il campo nemico. Ecco Agamennone, sire di genti, il vento del Nord, fratello di Aquilone e di Bora, cugino del Maestrale. Muove dal Polo, freddissimo, nemico dei fiori, delle piogge, di ogni corruzione pestifera. Rischiara l’aria, uccide le api, gela i laghi, le montagne. Sorvola la Scandinavia, scende dal Baltico sulla Germania, sfiora le viti e i boschi del Reno, sormonta la Baviera, scavalca le Alpi. È allora che conviene salare le carni, sì che i norcini consigliano addirittura di esporle a settentrione.

venerdì 6 febbraio 2015

Febbraio - di Fabio Tombari

Quando nevica nella foresta di Shakespeare, mentre scola dai prosciutti il sale di Rabelais. Allora che Dante s’incendia.
E fra il rovaio di fuori, la cucina pesante ed il fuoco, Febbraio ci trasporta nel mondo dei tragici.
Più nessuna mediocrità, nessuna frivolezza. Non è permesso fare dello spirito di fronte a una quercia nuda e stecchita come una vecchia del Dürer o al cospetto del proprio maiale  che va alla morte.
A quali tregende assiste di notte la campagna spaurita? Non è forse con un colpo di tramontana come questa che Michelangelo ha mosso il Giudizio Universale?
Se il pensiero dell’inferno d’estate, sdraiati su una spiaggia elegante, ci può far ridere, ora ci turba come l’immagine dell’estrema vecchiezza e della terribilità divina che traspare da ogni cosa. Perfino in cucina l’ardore di Kren Barbaforte riporta un’arsura di bolgia.
È il mese in cui muoiono Buonarroti, Cellini, Giulio II, Riccardo Wagner; il mese dei miei morti: mio padre di cent’anni, mio figlio in fasce, Maria prima dell’alba.
Inutilmente il Carnevale trarrà ancora per le strade la farsa di un’età dissepolta, trascinerà l’onta della parodia umana. Dietro a ogni bautta può celarsi un Doge, sotto le bubbole un paltoniere; ogni grassezza nasconde i sette peccati di Falstaff, ogni smorfia tradisce la maniera di Goya.
A Parigi costuma ancora la calata de la Courtille come ai tempi di Villon, come ai tempi di Sparta il corteggio degli Iloti ubriachi. A che pro?
Dopo il carnevale ogni maschera penderà dal chiodo dolorosa come la maschera di Beethoven.
Per i maomettani Febbraio è il mese della rivelazione del Corano, della scissione della Luna; per i giapponesi è il mese del cambio dei vestiti; per i veronesi, più solidi, il mese  degli gnocchi.
Col giorno delle Ceneri la Chiesa si veste da penitente e il sacerdote indossa il color viola. 
È il grande venerdì degli antichi divieti, la vigilia più stretta; quando un pugno di ceci riacquista quel valore che aveva nel campo sotto la volta di stelle.
Gli stessi re di corona lo mettevano a bagno la sera con una presa di cenere a renderlo cocivo. E la mattina la regina, appena l’alba, lo poneva a bollire in pignatta di coccio con olio aglio e rosmarino. Poi, con la corona in testa, si metteva alla madia a intrider farina e uova, per farne i quadrelli da buttar giù col sale grosso all’ultimo bollore.
Così a me piacciono i re; perché la sovranità, come la grande arte, s’avvera soltanto nella semplicità più virtuosa. E a patto di render regale ciò che tocca.

venerdì 31 ottobre 2014

"ROCK AROUND THE CLICK" a Parigi


ROCK AROUND THE CLICK 
di CRIS THELLUNG 

Parigi, dal 27 Novembre 2014 al 7 Febbraio 2015 
Inaugurazione: giovedì 27 Novembre alle ore 18.30


Cris Thellung e Parigi. Un imprescindibile legame artistico. Ai registi della Nouvelle Vague, l’artista ha dedicato la serie fotografica Rue du Tournage. Ora, prosegue la permanenza nella Ville Lumière con la mostra itinerante Rock Around The Click .
Fotografo appassionato, viaggiatore instancabile, musicologo irriducibile, Cris Thellung trasferisce (sempre e comunque sul filo del paradosso) gli idoli del rock e le copertine dei loro dischi dentro imprevedibili scenari, paesaggi, scorci urbani. Talvolta li mette a confronto con opere d’arte, trasformando ogni scatto fotografico in una spiazzante, ironica messinscena. Nella serie Rock Around The Clic, la copertina di “Let It Bleed” dei Rolling Stones incontra il coniglio suonatore scolpito da Barry Flanagan e fotografato da Thellung alla Royal Academy of Arts di Londra. Una sinfonia di colori, inoltre, cita sullo sfondo la pittura futurista di Nicolay Diulgheroff. Sempre a Londra, davanti al cartello stradale che segnala Abbey Road (celebre in tutto il mondo per essere stata immortalata sulla copertina dell’omonimo album dei Beatles), al posto di John Lennon, Ringo Starr, Paul McCartney e George Harrison ci sono 4 suricati realizzati dal Cracking Art Group italiano. 
Ad Hyde Park, invece, una sedia a sdraio ricorda poeticamente “Imagine” di John Lennon. L’ha creata Yoko Ono, nello stile neo dadaista del gruppo Fluxus. In Camden High Street, un telone oscura un palazzo inondato di graffiti e “tags”. Sopra, c’è un’immagine gigante dei Clash in concerto: memoria incancellabile del punk, che travolse il quartiere con un magma incandescente di suoni anarchici. Fotografando infine un dettaglio della Battersea Power Station (su un cielo cromatico che ricorda la psichedelia e la pittura visionaria di Vincent Van Gogh), Cris Thellung ha voluto rendere omaggio all’album “Animals” dei Pink Floyd. Geniale, poi, il tributo ai Led Zeppelin: in una cabina telefonica londinese, l’ombra del dirigibile che identifica la band si proietta sulle acque del Lac Vert, nella Haute-Savoie. 
L’immagine degli U2, invece, viene catapultata a Fez, città santa del Marocco dove la band irlandese registrò “No Line On The Horizon”. Molteplici, in questo caso, le citazioni: da una panoramica delle mura della Medina, alla cover del disco, fino a “Boy”, “The Unforgettable Fire” e “Zooropa”. La famosa copertina di “Loaded” dei Velvet Underground (opera del grafico Stanislaw Zagorski) che mostra un’entrata della metropolitana da cui escono mefitiche esalazioni, ha come via di fuga la parete di “azulejos” portoghesi di un ristorante nel porto di Rotterdam, dove molti anni fa c’era una casa di tolleranza. Fra le decorazioni, spiccano il volto di Marilyn Monroe e la “skyline” di New York: a significare l’emigrazione oltreoceano, per costruirsi una nuova vita. Lungo la Senna di Parigi, sospinte da un soffio di vento, le camaleontiche trasformazioni di Madonna danno un tocco di teatralità a un bouquiniste mentre dal rock prende a delinearsi, sdoppiandosi, il ritratto di Jim Morrison dei Doors: tatuato sui muri di quella Place des Vosges dove per pochi mesi, nel 1971, amò trascorrere il suo tempo. Scrivendo poesie.

 Stefano Bianchi


martedì 1 aprile 2014

Eremo


Il burrone boschivo discendeva in declivio verso la gialla Okà; sul suo fondo scorreva, nascondendosi fra l'erbe, un ruscello; sopra al burrone fluiva il fiume azzurro dei cieli, con un movimento di giorno impercettibile e di notte tremulo di stelle che vi brillavano come pesci d'oro.
Sul pendio a sud-est del burrone cresceva una macchia di arbusti intricata e folta e dove era più densa, sotto una sporgenza a picco, si incavava una spelonca chiusa da una porta fatta con grossi rami abilmente intrecciati. Davanti alla porta si stendeva uno spazio di terreno di circa due metri di lato, rinsaldato e coperto da ciottoli; di là, come una scala, alcune grosse pietre scendevano al ruscello.

Maksim Gor'kij L'eremita

mercoledì 5 febbraio 2014

Spazi nuovi per l'arte: "Piazza delle arti"

Un'idea nuova? O forse antica? Perché un tempo non era nei musei o nelle mostre o nelle gallerie che si poteva incontrare l'arte, ma nei luoghi che si frequentavano ogni giorno: le chiese, i palazzi pubblici, le piazze, appunto.
Da questa considerazione nasce il progetto "Piazza delle arti": punto d'incontro fra artisti e mecenati per scoprire insieme spazi inusuali - negozi, cinema, pub, ristoranti, sale d'attesa - dove l'arte possa di nuovo diventare esperienza quotidiana.

mercoledì 15 gennaio 2014

Gennaio - di Fabio Tombari


La Terra che quasi sonnambula vaga per l’etere, sembra destarsi a colpi di champagne. La vigilia, anzi che con abluzioni e digiuni, si conclude in bagordi; e Capodanno che dovrebbe aprirci ci chiude. Grevi, assonnati, pessimisti.
L’anno nuovo comincia da zero, da sotto zero. La stessa campagna d’intorno mostra la secchezza d’uno scheletro, e nei cristalli scricchiola la morte più gelida.Principiare con l’Aprile come gli antichi è facile; è adesso che è difficile. Finite le feste, finiti i quattrini.
E allora, sotto con la nuova valuta! quella delle origini. Non è l’oro dell’oriente che ha da venire a incarnarsi nelle erbe, nei fiori?
Sono le ultime delle Sacre Notti, e già Olaf Asteson, nel Canto del Sogno, cavalca verso la tredicesima.
Ma è presto. La luce che nel solstizio si era fermata, torna a salire; fuori nel cielo come dentro le piante: a salire coi sali.
Così la terra si desta e quel che intravede nel dormiveglia non è più la Luna, è il Sole. E incredibile a dirsi, ora soltanto lo vede. Radioso, dentro una grotta...
Contemplata dai pastori e dai magi, come cupola di gemme voltata sul bambino, Epifania è visione dall'alto, e pei piccini diviene la Befana.
Ma è presto, troppo presto ancora. Non solo per le piante e le gemme, perfino pei fiori di neve. Le rune impresse nelle pietre come sulle spade, tengono conto solo delle veglie.
E inutilmente i bambini schiacciano il nasetto contro i vetri, mentre giovanotti e signorine danno una mano d’olio agli sci: San Silvestro partito ai dodici tocchi con le amarezze e i rimpianti, ha sì lasciato in terra una pagina bianca, ma di brina.

Dunque la neve deve venire. Come potrebbe mancare nei giorni della sua festa?
Non c’è tempo da perdere: è ora di dar l’unto agli scarponi, di tenere i cani affamati al guinzaglio contro lupi e orsi. Un tempaccio scuro che stritola le ossa. E la neve viene.

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