domenica 29 luglio 2007

Sul tetto della California

Ora eravamo a circa tremilacinquecento metri d’altezza e faceva freddo e c’era molta neve e a est potevamo vedere immense catene con le cime innevate e sotto di esse sterminate distese di valli, eravamo praticamente sul tetto della California.
A un certo punto dovetti avanzare carponi, come gli altri, su una stretta sporgenza, attorno a uno spuntone di roccia, cosa che mi spaventò moltissimo: il precipizio era di trenta metri, quanto bastava percal_lago2 rompersi il collo, con un’altra piccola sporgenza che offriva un piccolo rimbalzo preparatorio a una bella caduta d’addio di trecento metri. Il vento ci frustava, adesso.
Ma tutto quel pomeriggio fu pieno di vecchi presagi o ricordi, come se fossi già stato lì prima, arrampicandomi su quelle rocce per scopi più antichi, più seri, più semplici.
Finalmente arrivammo ai piedi del Matterhorn, dove c’era un bellissimo laghetto sconosciuto agli sguardi matterdi gran parte degli uomini di questo mondo, visto soltanto da una manciata di scalatori, un piccolo lago a tremilacinquecento metri con la neve sui bordi e magnifici fiori e un magnifico prato, un prato alpino, pianeggiante e di sogno, sul quale mi buttai immediatamente togliendomi le scarpe.
Japhy era già lì da mezz’ora quando arrivai, e adesso faceva freddo e lui si era rimesso i vestiti. Morley arrivò alle nostre spalle sorridendo. Restammo seduti là a guardare l’incombente ripido pietroso pendio dell’ultimo tratto del Matterhorn.


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Jack Kerouac: I vagabondi del Dharma

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